Un compagno di strada. Il ricordo di don Sandro Panizzolo ad un mese dalla scomparsa

Don Sandro Panizzolo Fino all’ultimo ha saputo camminare accanto alle tante persone che ha conosciuto. Con un’attenzione particolare per gli ultimi

Un compagno di strada. Il ricordo di don Sandro Panizzolo ad un mese dalla scomparsa

Ovunque abbia operato, chiunque abbia incontrato nella sua vita, don Sandro Panizzolo ha lasciato un’impronta di semplicità, carità e dedizione al prossimo, spendendosi con tutte le sue energie. Anche nel suo testamento spirituale l’ultimo pensiero è rivolto agli altri: «Un grazie infinito, pieno di affetto e gratitudine a tutti i miei compagni di strada». Così si congeda, infatti, rivolgendosi a quelli che lui chiamava i pellegrini compagni di cammino che sono stati tantissimi.

La sua capacità di creare relazioni profonde, di toccare il cuore delle persone, gli ha permesso di intrecciare infiniti rapporti durati nel tempo.

Già dai tempi in cui si formava a Roma, il giovane don Sandro godeva della stima di tanti superiori; tra questi il card. Pio Laghi, di cui conquistò la fiducia; ma anche quando era nel Pontificio Seminario Lombardo i giovani preti rimasero affascinati dalla sua competenza ecclesiologica e allo stesso tempo dal suo stile di vita povera. Don Nicola Tonello, direttore spirituale del Seminario vescovile della Diocesi di Padova, ricorda che portò questo stile sinodale a Padova ripetendo spesso uno slogan: “Dall’uno ai molti e dai molti all’uno”. «Quando era rettore del Seminario le riunioni erano fatte di votazioni interminabili, come anche le discussioni – rammenta don Tonello – perché lui ascoltava il parere di tutti, preoccupato che le scelte fossero condivise, tanto che anche il bar era diventato un’agorà».

Da vero educatore qual era, don Sandro Panizzolo aveva una mente aperta, trasmetteva il suo bagaglio teologico ma allo stesso tempo era disposto a imparare dagli altri e a mettere in discussione le proprie idee. Un atteggiamento che gli ha permesso di avere vedute anticipate sui tempi, con la flessibilità di chi sa adeguarsi alle necessità.

Così è stato anche per il vicariato di Monselice, come fa notare Valentino Valmunicchi, responsabile della pastorale sociale e del lavoro: «Ricordo come don Sandro abbia preso a cuore la formazione dei giovani anche sui temi della sostenibilità, con eventi per sensibilizzarli verso gli obiettivi di Agenda 2030, quando ancora non se ne parlava. Allo stesso modo si è schierato nella difesa dei diritti dei cittadini in occasione di questioni importanti per la salubrità dell’ambiente, ma soprattutto in tempi di crisi sociale, nel decennio 2009-19, don Sandro ha guidato un’indagine di lettura dei bisogni del territorio pubblicandone poi il report».

Sono i segni di una realtà viva, che ora continua con alacrità a portare avanti quanto lui ha seminato. Silvana Zamana, vicepresidente del consiglio pastorale, testimonia come proprio negli ultimi tempi della malattia don Sandro abbia seminato ancora più a larghe mani: «Nonostante la pandemia, ha voluto che la vita in parrocchia non si arenasse, continuando a formare i ragazzi e a celebrare i sacramenti. Ha seguito i giovani nelle attività estive e, anche se indebolito dalle terapie, trovava la forza di prendere l’auto per raggiungerli ai campiscuola o condividere con loro momenti al grest. Durante il 40° di sacerdozio, lo scorso 13 giugno, ha ringraziato la comunità per avere rispettato i suoi tempi rallentati dalla malattia, in realtà non abbiamo mai riscontrato ciò, anzi, il suo timore di non riuscire più a seguire lo ha portato ad accelerare».

E come ha detto il vescovo Claudio Cipolla, nell’omelia del suo funerale, «dal pulpito della malattia è uscita la sua predica migliore», quella che rimane nell’intimo delle tante persone che ha incontrato esercitando la sua grande dote: la carità. «Una processione interminabile di persone si recava ogni giorno in canonica e lui non rifiutava mai nessuno, trovando un aiuto o una parola per tutti – racconta don Andrea Miola, vicario parrocchiale a Monselice – “Non mandate via nessuno senza aiuto, trattate tutti con amore”, raccomandava sempre, e se i soldi non c’erano li metteva di tasca propria».

Non è un caso se anche le parole della sindaca Giorgia Bedin, alla veglia funebre, si allontanassero da ogni formalità per prediligere la confidenza: «Hai saputo essere d’esempio per tutti noi», ha affermato, e dopo avere rammentato la determinazione di don Sandro nell’avere recuperato il cinema Corallo e la Pieve di Santa Giustina aprendoli alla cultura per la comunità, ha ricordato la sua grande attenzione per gli ultimi, quella che aveva visto a Roma in Madre Teresa e proprio da lei aveva imparato a prediligerli.

Sigismondi

«Un’amicizia che non ha conosciuto l’erosione del tempo ma lo scalpello della confidenza e il martello della discrezione»: così definisce il suo rapporto con don Sandro Panizzolo il vescovo di Todi e Orvieto e assistente generale dell’Azione cattolica italiana, mons. Gualtiero Sigismondi. Conosciutisi in gioventù, si sono sentiti fino all’ultima sera, dopo i primi vespri della solennità dell’Assunzione della Vergine Maria e racconta: «Avvertendo il suo respiro affannoso, gli ho chiesto di non affaticarsi ma di non lasciarmi privo della sua benedizione: me l’ha concessa raccogliendo le sue residue energie e mi ha chiesto lo stesso dono: custodisco nel cuore l’eco del suo “Amen”, della sua adesione all’incontro con “sorella morte”, ultima consegna del suo consumarsi, “fino alla fine”, come “servo premuroso del popolo di Dio”».

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