Una vita in punta di piedi. Mons. Giovanni Brusegan ricorda mons. Paolo Doni ad un mese dalla morte

Ci ha lasciato il sabato santo Alle esequie tutta la Diocesi si è riunita per salutarlo, dirgli il proprio affetto e soprattutto il grazie per ciò che è stato e continuerà a essere. Pubblichiamo il ricordo di un amico

Una vita in punta di piedi. Mons. Giovanni Brusegan ricorda mons. Paolo Doni ad un mese dalla morte

È doveroso far memoria di mons. Paolo Doni per tutto ciò che è stato e ha dato alla Chiesa, alla Diocesi di Padova, a noi compagni di classe, ai compagni tutti di strada. Se fare memoria risulta doveroso, è ancor più necessario tenere in cuore, ricordare: ci manca e mancherà con la sua presenza autorevole e discreta, con il suo portamento signorile e silenzioso, con la sua parola posata e illuminante, con la sua cura esemplare per le persone, senza preferenze. Don Paolo è entrato fin da piccolo in Seminario a Thiene, ha maturato sempre più una vocazione limpida e convincente. Nel suo itinerario formativo ha goduto di maestri e formatori preziosi. Ciò che però ha dato una svolta decisiva alla sua persona per la realizzazione della sua identità sono stati il Concilio Vaticano II e il 1968. Chi ha vissuto quegli anni come don Paolo, non può dimenticare le passioni alte, il fervore culturale, intessuto di dibattiti, di ricerca e di interessi vari. Gli insegnamenti del Vaticano II, in particolare della Gaudium et Spes, per lui bussola perenne, sono diventati costitutivi del sapere teologico e del contributo ecclesiale: del Concilio ha assunto lo spirito, ne ha fatto il paradigma, la sorgente creativa della sua pastorale. Il ’68, poi, con la sua complessità, con le sue problematiche, è diventato per lui e noi compagni di ordinazione, il crinale da cui guardare il passato e osare il futuro: memoria e speranza, tradizione e creatività, continuità nella discontinuità. Negli anni Settanta don Paolo ha vissuto la stagione degli studi specialistici in Teologia morale, dapprima a Milano e poi a Roma; ne è diventato dottore e in seguito docente stimato e preparato nella Facoltà Teologica: tutti i suoi alunni, oggi preti, vivono del competente e appassionato suo insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Era mosso soprattutto da sensibilità e intelligenza in ordine a una Chiesa dialogante nel mondo, capace di ascolto, attenta alle istanze contemporanee. La sua tesi riguardante l’esperienza delle “Comunità di base in Italia” è rimasta sempre un riferimento per i compiti diocesani che lo avrebbero visto appassionato servitore per la pastorale della famiglia, per l’Azione cattolica, per la pastorale laicale e, per ultimo, quale vicario generale. Nella sua cultura si notava l’apporto di eminenti teologi come mons. Sartori, mons. Tura, padre Häring e dei vescovi Bortignon, Franceschi, di cui fu prezioso discepolo, e Mattiazzo. Con lui, nel tempo e con il tempo, abbiamo costruito un’amicizia sincera, fraterna, feconda. La sua posizione non sempre era la mia, però trovavamo nell’incontro la gioia del confronto, fatto di telefonate, di viaggi, di dibattiti: non perdevamo tempo, ma ci scambiavamo pareri in base a studi e letture corrispondenti agli interessi e alle competenze di ciascuno. Così ci si arricchiva di vedute e di spunti dialettici e complementari. Nel corso degli anni – 55 di sacerdozio e 60 di amicizia – è cresciuta la nostra intesa, la complicità, la stima e l’affetto fraterno. Restava sempre il leader della nostra classe, garante per tutti di cara amicizia e di interesse personale e collettivo. Da parte mia era sempre una gioia trovarci, telefonarci, andare in visita ufficiale alle missioni, organizzare incontri, conferenze. Don Paolo era un uomo leale, pulito, di parola; dava fiducia e potevi fidarti. Non giocava alla vita, né si serviva del ruolo, la sua fede era cristallina, l’amore al sacerdozio e alla Chiesa inossidabili; l’impegno per la giustizia, per i poveri, per il bene comune erano all’ordine del giorno. Era consapevole dei doni ricevuti, senza sussiego e narcisismo, con senso di responsabilità e spirito di servizio. Si nutriva della Parola di Dio con passione crescente, Bibbia e giornale, Parola e vita erano dinamiche su cui crescevamo insieme. La cultura, per lui e per me, non era che uno spazio di apertura, prospettive, orizzonti nuovi. Ci si stimolava a vicenda per un impegno di inculturazione crescente della fede e per una promozione culturale ed ecumenica delle nostre comunità. La sua partenza è avvenuta in punta di piedi, come peraltro è sempre stato il suo stile: avrebbe potuto godere qualche anno di più, testimoniare ancora a lungo, donare la sua passione per la verità e per la Chiesa. Ne sentiamo, non possiamo non sentirne, l’assenza: ci consola che è volato via senza quel patire con cui, in segreto, sapeva convivere. Ci consola che lì trova amici a lui cari, compagni, superiori, figure che lui ha amato. Ci consola, mi consola, che per la comunione dei santi il nostro dialogo non si è concluso, la nostra amicizia non è finita. Nelle pagine della cronistoria della Diocesi don Paolo ha scritto e continua a essere presente. Nelle pagine della mia vita permane la gioia di aver condiviso momenti forti di gioia e di prove, confronti e scambi illuminanti, appuntamenti lieti di vita, premessa per l’oltre eterno nelle mani del Signore.

mons. Giovanni Brusegan

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