3 ottobre. Da Lampedusa l’appello di sopravvissuti e familiari delle vittime: “Chiediamo soluzioni”

Joseph Walid è un medico che ha perso 4 figli nel naufragio del 2013: “’Welcome to Europe’, mi piacerebbe che questa frase fosse scritta in ogni via e ogni angolo d’Europa”. Ibrahim, che ha perso due figli, lancia un appello alla politica: “Mi rivolgo a chi decide su di noi perché lo faccia con la consapevolezza delle nostre storie e di quello a cui andiamo incontro”

3 ottobre. Da Lampedusa l’appello di sopravvissuti e familiari delle vittime: “Chiediamo soluzioni”

Si alza lentamente dalla sedia appoggiandosi alla stampella, poi si avvicina al microfono e prima di iniziare a parlare fa un lungo respiro. E’ la prima volta che Joseph Walid, medico originario della Siria, torna a Lampedusa dopo il tragico naufragio dell’11 ottobre 2013, il naufragio dei bambini. In quella tragedia del mare perse quattro dei suoi figli: la più piccola aveva due anni, il più grande dieci. Lo racconta guardando gli studenti arrivati a Lampedusa da tutta Italia per partecipare alla Giornata della memoria, organizzata dal Comitato 3 ottobre per ricordare non solo le 368 persone morte il 3 ottobre del 2013 davanti alla spiaggia dei Conigli ma anche tutte le vittime del mare.  Per l’occasione sono giunti sull’isola anche i parenti e i sopravvissuti dei due naufragi dell’ottobre 2013. “Oggi vivo in Germania, sono tornato qui per la prima volta- aggiunge Walid - e sono felice di vedere scritto sulle vostre magliette ‘Welcome to Europe’, mi piacerebbe che questa frase fosse scritta anche in ogni via e ogni angolo d’ Europa. Io sono il padre di quattro bambini dispersi nel Mediterraneo, non riesco a farvi sentire il nostro dolore, ma per me è una gioia vedere una nuova generazione che cresce in modo più accogliente. Chi migra non arriva dal nulla, bisogna ricordare il contesto da cui veniamo e porgersi come un sol uomo davanti ai conflitti. Nessuno di noi avrebbe voluto lasciare la sua terra e affrontare un viaggio terribile come quello che abbiamo fatto noi”, aggiunge. Anche Alex, eritreo, sopravvissuto al naufragio del 3 ottobre 2013, è tornato solo quest’anno a Lampedusa: “In questi nove anni non mi sono mai sentito pronto emotivamente a tornare, perché questo significava rivivere quel momento - spiega- . Quest’anno ci sono riuscito, l’ho fatto anche per incontrare i ragazzi che sono per noi una speranza. Alla politica chiediamo soluzioni alternative reali”. Anche Ibrahim, padre di due bambini morti in mare ha rivolto un appello ai politici e in particolare al nuovo governo italiano: “Non so quale sia stato il destino dei miei due bambini, per noi è difficile anche solo parlarne, ma mi rivolgo a chi decide su di noi perché lo faccia con la consapevolezza delle nostre storie e di quello a cui andiamo incontro”. “Si parla di 368 vittime - aggiunge Adal, eritreo, sopravvissuto al naufragio di 9 anni fa -. Ma noi quei numeri li conosciamo: sono volti, sono persone, sono i nostri familiari e amici. Il nostro dolore rimarrà per lungo tempo. Ma dobbiamo lavorare perché non si ripeta, quando la politica decide su di noi deve avere pietà: i nostri amici sono tenuti in condizioni vergognose in Libia”. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)