8 marzo. Il settore domestico è “rosa”: l’88% sono donne, come il 58% dei datori

Zini (Assindatcolf): “Donne che chiedono aiuto ad altre donne per riuscire a conciliare i tempi di vita, soprattutto con la propria occupazione, ma che, non sempre, hanno le disponibilità economiche per poterselo permettere”. Infatti molte famiglia rinunciano per il costo

8 marzo. Il settore domestico è “rosa”: l’88% sono donne, come il 58% dei datori

Il comparto domestico è ‘rosa’: su quasi 850 mila colf, badanti e baby sitter regolari censite dall’Inps nel 2019, 753.325 sono donne, ovvero l’88,7% del totale. Così come donne sono per oltre la metà, il 58%, i loro datori di lavoro. “Donne che chiedono aiuto ad altre donne per riuscire a conciliare i tempi di vita, soprattutto con la propria occupazione, ma che, non sempre, hanno le disponibilità economiche per poterselo permettere. A queste persone, coloro che quotidianamente rinunciano alla propria attività e alla propria carriera per occuparsi esclusivamente della casa e della famiglia vogliamo dedicare la Giornata Internazionale della Donna”. Così Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, Associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, aderente Confedilizia, componente Fidaldo ed Effe.

“Calcolatrice alla mano - prosegue – abbiamo messo nero su bianco quanto spendono mediamente le famiglie nelle quali entrambi i genitori sono lavoratori a tempo pieno per assumere una baby sitter che copra l’orario extra scolastico, quindi per circa 15 ore a settimana: complessivamente oltre 7 mila euro l’anno, inclusi i ratei di Tfr, tredicesima, ferie e contributi, che diventano oltre 18 mila se la lavoratrice viene invece assunta a tempo pieno (40 ore alla settimana). Stesso discorso per la colf a cui demandare la cura della casa quando si è a lavoro: oltre 9 mila euro l’anno è il costo complessivo di una lavoratrice assunta per 25 ore la settimana e 16 mila euro è quello per un’attività settimanale di 40 ore. Considerato che il reddito medio delle famiglie stimato dall’Istat nel 2018 era pari a circa 31 mila euro l’anno, appare evidente come la scelta di rinunciare ad un aiuto in casa possa principalmente essere legata all’indisponibilità economica”.
“E quando una famiglia non può permetterselo, chi rinuncia è quasi sempre la donna, sulla quale ancora oggi ricade tutto il lavoro di cura e di assistenza. Tanto più – aggiunge Zini – se si considera che ai datori di lavoro domestico non è attualmente consentito di portare in deduzione il costo complessivo del lavoro ma solo una minima parte dei contributi. Per superare almeno questo tra i tanti problemi di gender gap – conclude - siamo convinti che sia necessario partire proprio da qui, dal sostegno al lavoro domestico, introducendo una fiscalità diversa e più equa a carico delle famiglie, che renda il lavoro domestico regolare non solo più conveniente rispetto a quello in ‘nero’ ma anche un’alternativa possibile alla rinuncia del proprio posto di lavoro. Questo sì che potrebbe essere un modo concreto per festeggiare le donne”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)