A Lampedusa hotspot di nuovo al collasso. L’operatrice di Save the children, “370 minori in condizioni critiche, accelerare trasferimenti”

Nell'hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa la situazione è molto critica. Oltre 1500 persone su una capienza di 400 posti letto, nonostante i continui trasferimenti via nave e aerei. Tra questi vi sono 70 bambini con i genitori e 300 adolescenti non accompagnati, come riferisce al Sir da Lampedusa Lisa Bjelogrlic, coordinatrice del progetto nazionale di frontiera di Save the children. I minori provengono prevalentemente da Costa d'Avorio, Guinea Conakry, Mali e Senegal e dalla Tunisia, alcuni dall'Africa orientale. La maggior parte sono partiti dalla Tunisia. Tra il 23 e il 27 marzo sono sbarcate in Italia 6.564 persone e il bel tempo fa prevedere che le partenze non si arresteranno.

A Lampedusa hotspot di nuovo al collasso. L’operatrice di Save the children, “370 minori in condizioni critiche, accelerare trasferimenti”

“Il nostro impegno è verificare ogni giorno che i minori, le mamme con bambini, possano avere un posto dove dormire. Ma considerato il sovraffollamento dell’hotspot questo non sempre viene garantito e aumentano i fattori di rischio per i bambini e gli adolescenti, a causa del freddo e della promiscuità tra adulti e minori”. Per i minori c’è una emergenza in più: il tempo di permanenza nell’hotspot si allunga fino a due o tre settimane, anziché una settimana come per gli adulti. A parlare al Sir dall’hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa è Lisa Bjelogrlic, coordinatrice del progetto nazionale di frontiera di Save the children, in prima linea nell’accoglienza dei minori. Lisa stessa, di origine serbo-croata, è dovuta fuggire quando aveva 10 anni con la famiglia, ed oggi questa è la sua missione di vita. Save the children è attiva nell’isola delle Pelagie con un team composto da esperto legale, una operatrice legale, una educatrice e due mediatori culturali. Dalla scorsa estate, visto l’alto numero di persone in arrivo, ha rafforzato il lavoro, in partenariato con l’Unicef. I minori e le mamme con bambini vengono subito identificati all’arrivo al molo Favarolo e poi seguiti per tutto il tempo all’interno del centro, per cercare di assicurare loro una accoglienza dignitosa. Vale a dire un posto letto, cibo, abiti, scarpe, cure mediche, assistenza psicologica. Assolutamente non scontati in condizioni di sovraffollamento.

Nonostante i trasferimenti continui verso la Sicilia e altre regioni del Sud nell’hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa nel centro sono ancora 1500 persone su una capienza di 400 posti letto. Tra questi vi sono 70 bambini con i genitori e 300 adolescenti non accompagnati. I minori provengono prevalentemente da Costa d’Avorio, Guinea Conakry, Mali e Senegal e dalla Tunisia, alcuni dall’Africa orientale. La maggior parte sono partiti dalla Tunisia, africani subsahariani in fuga dalla caccia al nero a causa del rischio tracollo economico nel Paese. Tra il 23 e il 27 marzo sono sbarcate in Italia 6.564 persone e il bel tempo fa prevedere che le partenze non si arresteranno.

“La situazione generale nell’hotspot è sicuramente critica”, conferma l’operatrice di Save the children, perché con l’aumento del numero di persone “si manifestano carenze di natura gestionale che non garantiscono una adeguata accoglienza, soprattutto per le persone più vulnerabili, in particolare i bambini, le bambine e gli adolescenti, molti dei quali sono soli. Noi continuiamo ad agire quotidianamente per essere a fianco dei minori, rilevare le criticità e riportarle all’ente gestore in modo che sia garantita la risposta ai loro bisogni essenziali e primari”.

Ora l’urgenza primaria è “garantire un generale impegno nell’accoglienza e proteggere le persone più vulnerabili”.

“Siamo presenti ogni giorno dal momento dello sbarco – spiega Bjelogrlic – e questo ci permette di fare una primissima rilevazione delle situazioni più vulnerabili, di trasferire le informazioni prima possibile per assicurarci che al momento dell’ingresso nell’hotspot ricevano immediatamente una risposta. Ad esempio

neonati senza vestiti, mamme in stato di choc.

Informiamo l’ente gestore perché abbiano il tempo necessario per organizzarsi e poter immediatamente rispondere. Misure micro che mettiamo in campo in maniera costante e regolare”.

Le organizzazioni umanitarie sono una sorta di pungolo perché ente gestore e autorità locali e centrali facciano bene il loro lavoro. “Supportiamo ed evidenziamo l’importanza di gestire in maniera diversa lo spazio per dare priorità ai minori e adolescenti all’interno dei moduli abitativi. Altrimenti i rischi sono altissimi, dal freddo alla promiscuità tra adulti e minori.  Le condizioni sono molto precarie, non sempre si riesce perché le persone sono tante”.

Minori, trasferimenti troppo lenti. Mentre adulti e nuclei familiari vengono trasferiti in tempi abbastanza rapidi, una settimana al massimo, con navi e ultimamente con aerei messi a disposizione dal Ministero dell’Interno, per i minori non accompagnati l’attesa è più lunga perché il sistema di accoglienza è saturo:

“Purtroppo i minori rimangono tempo all’interno dell’hot spot per due o tre settimane, in condizioni non idonee e sicure”.

“Le condizioni metereologiche sono un po’ avverse quindi non si riesce a garantire nell’immediato trasferimenti via mare nelle prossime ore – dice la coordinatrice di Save the children -. Auspichiamo che i minori vengano trasferiti quanto prima”.

Gli operatori ascoltano ogni giorno storie terribili, di violenza, guerra, paura. “Dai racconti delle persone ci arriva moltissima sofferenza, paura e necessità di muoversi. Alcuni stavano già in Tunisia da tempo, altri sono solo transitati”.

Come la storia di Ajù, della Costa d’Avorio, in questi giorni nell’hotspot. Ajù (è un nome di fantasia) non ha nemmeno 14 anni ma è partito due anni fa, quando aveva solo 11 anni, senza informare la famiglia. “E’ fuggito da una situazione di estrema povertà. Ha messo i soldi da parte per poter viaggiare e poi riuscire mantenere la famiglia. Ma poi è stato costretto a lavorare forzatamente in tutte le tappe verso l’Italia, passando da Niger, Algeria e Tunisia – riferisce Bjelogrlic -. Ha fatto lavori estremamente usuranti per un bambino, come raccogliere e spostare pietre”.  Un piccolo adulto con grande senso di responsabilità, che si è sentito in dovere di aiutare le sorelle e i genitori.

Che rivela però la sua età “nella percezione e nel pensiero magico tipico dei bambini. Quando gli abbiamo chiesto quanto tempo pensava richiedesse il viaggio

ha guardato la mappa, misurato la distanza e visto che riusciva a stare tra il pollice e l’indice. Ha pensato che ci avrebbe messo tre o quattro giorni”.

Alla fine il viaggio è durato due anni. Ora è in attesa di un trasferimento. Questo ti emoziona perché ti rendi conto veramente di quali sono le loro aspettative e di cosa persone così giovani sono costrette ad affrontare”.

I primi mesi del 2023 stanno già registrando un aumento enorme dei flussi in arrivo. Sono 26.927 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno. Lo scorso anno furono 6.543 mentre nel 2021 6.334. Con l’arrivo della bella stagione si sa già che la situazione non può che peggiorare. Oltre ai trasferimenti in tempi rapidi, non si può trovare un modo per far sì che l’hotspot non sia ogni volta al collasso? “Noi continuiamo a supportare e ad evidenziare alle autorità locali e centrali quali possono essere le criticità e le misure potenzialmente correttive – commenta Bjelogrlic -. Ogni giorno proviamo ad indicare all’ente gestore come procedere, come gestire per tutelare i più vulnerabili, come dare priorità alla messa in sicurezza di minori e mamme con bambini. Come l’ente gestore decide di organizzarsi non ci è dato sapere”. A lungo termine le organizzazioni umanitarie sul campo continuano a chiedere di “attivare vie di accesso legali e sicure perché il Mediterraneo non sia un mare di morte e ci siano meccanismi di ricerca e soccorso strutturati e coordinati”.

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Fonte: Sir