A Moria la catastrofe non si ferma. L’Ue incentiva con 2 mila euro chi rientra in patria

A Moria continua la catastrofe. D’improvviso, la fiammata nella cucina improvvisata. La lingua di fuoco è alimentata dal forte vento. Brucia tutto, in fretta, senza pietà. E all’interno del campo profughi di Moria una nuvola nera si alza fra urla, panico e disperazione.

A Moria la catastrofe non si ferma. L’Ue incentiva con 2 mila euro chi rientra in patria

D’improvviso, la fiammata nella cucina improvvisata. La lingua di fuoco è alimentata dal forte vento. Brucia tutto, in fretta, senza pietà. E all’interno del campo profughi di Moria una nuvola nera si alza fra urla, panico e disperazione. Lunedì mattina 16 marzo verso mezzogiorno a Lesbo l’incendio è costato la vita a una bambina di circa 7 anni, come ha confermato Evangelos Vasis comandante di Hellenic fire alla radio statale greca Ert. Un container e due “abitazioni provvisorie” sono stati distrutti dall’incendio. I vigili del fuoco, arrivati dopo circa un’ora, hanno lavorato a lungo per circoscrivere e spegnere le fiamme.

Il 30 settembre, dopo un analogo episodio, il sindaco di Lesbo Stratis Kytelis aveva annunciato due morti (madre e figlio). Ma secondo altre fonti il bilancio dell’incendio sarebbe stato più pesante. E nella notte del 5 dicembre all’interno del campo di Kara Tepe (gestito dalle autorità locali) era morta una donna afgana di 27 anni che “abitava” in un container con il marito e tre figli piccoli.

La delegazione di attivisti della campagna Lesvos calling è appena rientrata dall’ultima “spedizione” di solidarietà. «Da mesi, ormai, ripetiamo che i 40 mila profughi nelle isole greche dell’Egeo vanno trasferiti. A Moria, in particolare, tutte le ong presenti segnalano una vera e propria catastrofe umanitaria. Nel porto di Mytilene, oltre 500 persone (bambini, donne incinte, disabili e minori non accompagnati) sono detenute arbitrariamente all’interno di una nave militare. E una cinquantina di migranti, sbarcati a Skala Sikaminea nel Nord dell’isola, sono controllati a vista dalla polizia sul ciglio della strada».

L’incendio rischia di rinfocolare l’epidemia di intolleranza. Anche a Lesbo è emergenza Covid-19 dopo il ricovero di una donna greca risultata positiva. E il rischio contagio nel campo profughi (con oltre 20 mila persone ammassate) moltiplica le preoccupazioni. Dichiara Hilde Vochten, coordinatore medico di Medici senza frontiere in Grecia: «In alcune parti del campo di Moria c’è soltanto un rubinetto d’acqua ogni 1.300 persone e il sapone non è disponibile. Famiglie intere sono costrette a dormire insieme in meno di tre metri quadri. Impossibile prevenire la diffusione del virus...».

La soluzione dell’Unione europea? Un incentivo di 2 mila euro al rimpatrio volontario per chi è arrivato in Grecia prima di quest’anno. La commissaria Ue Ylva Johansson confessa di sperare che fino a 5 mila migranti partecipino all’iniziativa che durerà un mese.

Giro di vite del governo greco alle frontiere

Più di 200 chilometri: è la frontiera fra Turchia e Grecia (ma anche Bulgaria). La rotta terrestre del nuovo esodo. E la bussola impazzita dei diritti umani.

Il New York times ha individuato a Poros il centro di detenzione illegale con cui la Grecia “cattura” i profughi prima di far scattare le espulsioni verso la Turchia. Tre capannoni con il tetto rosso disposti a U: all’interno nessuna forma di controllo giuridico, nessuna possibilità di asilo, nessun rispetto per la Convenzione di Ginevra. E il governo di Atene ha già progettato un hub di detenzione: mille posti nell’area del villaggio di Promachonas a soli 8 chilometri dalla Bulgaria.

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