Associazione italiana di psicogeriatria. Anziani, dopo l’epidemia niente sarà come prima

P rima si dedicava alle analisi sulla solitudine degli anziani e sulla pianificazione del welfare all’altezza dell’Italia che invecchia. Oggi è costretto a misurarsi con i devastanti effetti del Coronavirus, senza diplomazia: «Le persone anziane sono state troppo offese da colleghi improvvidi, superficiali e talvolta ignoranti per sentirsi di nuovo accettati dalla collettività. In pochi giorni, con il gioco dei “con” e dei “per”, abbiamo disfatto decenni di pensiero geriatrico, ma soprattutto abbiamo distrutto un rapporto di fiducia».

Associazione italiana di psicogeriatria. Anziani, dopo l’epidemia niente sarà come prima

Marco Trabucchi è il presidente dell’Associazione italiana di psicogeriatria, 73 anni, laureato con lode al Bo, specialista in psichiatria, già ordinario di neuropsicofarmacologia a Tor Vergata, fra gli “inventori” dell’AlzheimerFest. «Non vorrei sembrare melodrammatico, ma come ci avvicineremo ai pazienti se hanno capito che chiediamo loro l’età per prendere oggi alcune decisioni (l’intubazione), ma domani anche altre che potrebbero riguardare la somministrazione o meno di farmaci costosi? Sempre più si nota una discrepanza tra il dono di una vita lunga e la sua accettazione, espressa dall’ormai famoso deprecato documento sui “danni indotti dalla longevità” di cui parlava qualche anno fa Christine Lagarde».

Già nella rivista ufficiale dell’Aip evidenziava stridenti realtà: «L’Istat ha rilevato che il 27,7 per cento degli ultra 75enni “non ha nessuno su cui contare in caso di bisogno”. È stato calcolato che il costo per la cura degli animali da compagnia ammonta a circa 4 miliardi di euro l’anno. Che segnale possiamo trarre per il futuro?».

Trabucchi non perde il suo stile nemmeno nell’occhio del ciclone: «Dobbiamo superare questa crisi, ma poi avremo molto da dire sul piano clinico e su quello dell’organizzazione dei servizi».

Radiografa così la situazione nell’emergenza Covid-19. Gli anziani a casa: «Anche alla comparsa dei primi sintomi sono affidati nella maggior parte dei casi a loro stessi e all’amore dei loro cari. I medici di famiglia sono impauriti, tendono a bloccare le visite e le famiglie non chiamano il 118 perché temono di veder salire il familiare sull’ambulanza e di non poterlo più salutare, fino alla fine. Così li tengono a casa. E i nostri concittadini rischiano di finire la vita senza nemmeno la dignità della diagnosi».

Nelle residenze del territorio non va certo meglio: «Sono vittime di una totale dimenticanza da parte dei poteri politici e dei loro vassalli che avrebbero l’incarico di gestire le aziende sanitarie – afferma Trabucchi – Nessun indirizzo è stato dato a chi gestisce le residenze, nessun supporto in termini di mezzi di protezione, di possibilità di fare i tamponi, di valutazione economica di fronte ai danni indotti dalla liberazione di posti letto causata dalla morte degli ospiti. Il personale è allo stremo, con un impegno eroico. Medici e operatori si ammalano in rapida progressione, con la riduzione delle cure agli ospiti».

Soltanto pochi mesi fa il presidente dell’Aip aveva suggerito la possibile rimodulazione del welfare a misura dell’Alzheimer, ma anche del cohousing fra generazioni. «Le residenze del prossimo futuro dovranno diventare centri di servizi plurimi, non solo sul piano formale. Dovranno essere luoghi di regia per il territorio, rispondendo a tutte le esigenze degli anziani. Dovranno strutturarsi come residenza tradizionale, anche se con sempre maggiore attenzione verso le persone affette da demenza e come residenza leggera per persone sole che hanno bisogno di una protezione blanda sul piano clinico. E come centrale di appoggio per le realtà di cohousing diffuse, per l’assistenza domiciliare integrata e in alcune situazioni potrebbero fare riferimento organizzativo anche l’ospedale di comunità e l’hospice».

Ma con il Covid-19 Trabucchi ammonisce che resta irrisolto il problema degli anziani che, raggiunta la guarigione clinica, presentano un grado di disabilità tale da non poter rientrare al domicilio. «Ogni critica deve essere rimandata; però questo non ci impedisce di esprimere dissensi molto pesanti. Per esempio rispetto alla volontà dimostrata da alcune Regioni di trasferire nelle case di riposo le persone dimesse dagli ospedali. E non possiamo essere sordi agli appelli che vengono da molte famiglie abbandonate nell’accompagnamento dei loro cari».

L’associazione. L’obiettivo: invecchiare tenendo attive le capacità

L’Associazione italiana di psicogeriatria è fondata sull’approccio interdisciplinare nei confronti degli anziani. Si occupa dei disturbi comportamentali e cognitivi, delle patologie connesse all’età, delle difficoltà psichiche. L’obiettivo di Aip (che ha sede a Brescia in via Fratelli Lombardi, 2) è offrire la possibilità di invecchiare mantenendo attive le capacità fisiche e mentali.

Il presidente di Aip è Marco Trabucci, affiancato da quattro vice presidenti: il padovano Diego De Leo, Giovanna Ferrandes (Genova), Nicola Ferrara (Napoli) e Alessandro Padovani (Brescia). Nel direttivo nazionale siede anche il geriatra Alberto Cester (autore di Vecchiaia per principianti), mentre responsabile dell’area Tecnologie assistite e adattamenti ambientali è il padovano Cristian Leorin. L’Aip ha anche una sezione triveneta, presieduta da Laura De Togni, neurologa dell’Ulss 9 Scaligera, con vice presidente Annachiara Cagnin, docente associato di neurologia dell’Università di Padova.

Il 20° congresso nazionale è stato fissato a Firenze dal 17 al 19 settembre.

Contro l’isolamento sociale

I volontari di “Per Padova noi ci siamo” hanno distribuito casa per casa a 3.500 anziani over 74 individuati come soli, cioè senza parenti residenti in città, ben 7 mila barriere protettive. In questo modo hanno avviato un primo contatto fondamentale.

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