Attacco su Odessa. Don Roman Krat: “Morto un ragazzo di 15 anni, i missili russi non sono mai precisi”

L'attacco missilistico russo compiuto nel pomeriggio su Odessa ha colpito una chiesa ortodossa. Un ragazzo di 15 anni è stato ucciso e un'altra ragazza adolescente è stata ferita gravemente. Come era successo per gli attacchi precedenti, anche questa volta pare che l’edificio religioso fosse  situato vicino a una struttura militare. “Ma i missili russi non sono così precisi”, osserva da Odessa don Roman Krat. La città si trova in una posizione strategica nell’Ucraina meridionale. E la popolazione locale sta cominciando a guardare con preoccupazione la data del 9 maggio, Giornata della Vittoria

Attacco su Odessa. Don Roman Krat: “Morto un ragazzo di 15 anni, i missili russi non sono mai precisi”

Il colpo ieri pomeriggio ad Odessa si è sentito benissimo. Raggiunto al telefono dal Sir, don Roman Krat, parroco della cattedrale e direttore del tribunale diocesano, chiede tempo. Pur trovandosi in centro città, deve ancora capire dove è caduto il missile e cosa ha colpito. Purtroppo, si viene a sapere che un ragazzo di 15 anni è stato ucciso e un’altra ragazza adolescente è stata ferita gravemente e ad essere stata colpita è una chiesa ortodossa. Come era successo per gli attacchi precedenti, anche questa volta pare che l’edificio religioso fosse situato vicino a una struttura militare. “Ma i missili russi non sono così precisi”, osserva il sacerdote.

Ieri è stata una giornata importante per Odessa. Ricorreva l’anniversario della “strage” otto anni fa, nel 2014, di decine di manifestanti filorussi morti nell’incendio scoppiato all’interno della casa del sindacato.

Per questo motivo le autorità cittadine hanno deciso di stabilire un coprifuoco prolungato, partito la sera del 1° maggio alle 22 e finito solo questa mattina alle 5.

“La polizia ha controllato che tutti rispettassero gli orari di chiusura. È stata una decisione presa – spiega padre Krat – per evitare probabili provocazioni e manifestazioni di piazza”. La “strage di Odessa” è una ferita ancora aperta in città. E’ una storia – spiega il sacerdote – “difficile da giudicare anche perché tutto dipende da chi la guarda”. Esistono visioni e interpretazioni completamente opposte rispetto a quello che è accaduto 8 anni fa. La procura generale ha aperto le indagini ma ancora ad oggi, non c’è risultato. Siamo nel 2014, nel pieno della “rivoluzione arancione” con la destituzione del governo filo-russo sostituito da un esecutivo filo-occidentale e l’annessione della Crimea da parte dei russi. La tensione a Odessa è altissima. Quel giorno, don Roman era lì. “Ricordo che per le strade della città una colonna di giovani pro russi ha attaccato i manifestanti pro ucraini. Sono cominciati scontri. Sono partiti anche degli spari. E’ morto un ragazzo. La tensione era altissima fino a che i manifestanti pro russi si sono rifugiati dentro la casa del sindacato. La gente era infuriata. E a quel punto ha preso fuoco l’edificio. Dentro c’erano 48 persone”. La maggioranza dei giovani di Odessa si sono dimenticati ma per chi quel giorno era lì, “questa storia è ancora viva nella memoria perché ci sono persone che hanno perso i loro amici.La domanda è: quella manifestazione è durata per 2 ore e mezzo. Perché non è intervenuta la polizia? Dove stava? Chi ha dato loro l’ordine di non intervenire?

Solo quando la storia sarà chiarita, quando saranno identificati responsabili e colpevoli e si stabilirà cosa esattamente è successo, solo allora possiamo chiudere e guarire le ferite. Ma se nessuno sa la verità, allora questa ferita rimane aperta e ogni anno il suo ricordo rischia di essere manipolato e utilizzato dai nostri politici”.

Ma in queste ore ad Odessa, si guarda con preoccupazione ad un’altra data: il 9 maggio ricorre la Giornata della Vittoria, in memoria della capitolazione della Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale. Fin dall’inizio il presidente russo Vladimir Putin ha fatto leva sul ricordo di quella pagina storica tanto da presentare l’attuale conflitto in Ucraina come “operazione militare speciale” e campagna di “denazificazione”.

“Da noi circola l’informazione che il 9 maggio – racconta don Krat -, i russi hanno intenzione di riconoscere la Transnistria come paese indipendente e portare i loro soldati sul territorio e occupare fino alla Moldova. In questo modo l’Ucraina meridionale e Odessa si ritroverebbero improvvisamente in una situazione molto instabile e strategicamente si aprirebbe un altro fronte di guerra”.

Insomma, il futuro in questa parte di Ucraina appare estremamente incerto. “Le cose evolvono ogni giorno”, dice il sacerdote. Ma non in meglio. La strada dei negoziati appare sempre più lontana. “Anche il nostro presidente lo ha riconosciuto quando ha detto che l’unica fine della guerra sarà solo la vittoria dell’Ucraina. Lo stesso stanno dicendo i russi. Entrambe le parti hanno quindi dichiarato la chiusura del dialogo. E il supporto delle armi che arrivano dall’Europa e dagli Usa, fa prevedere che ormai l’unica soluzione è l’attacco militare”.  Il prezzo della guerra sta crescendo. “Speriamo che ad un certo punto i russi si accorgano che sia troppo alto e insopportabile da pagare e siano quindi spinti a cercare la pace”. Ma quale via percorrere quando si arriva ad un punto di non ritorno? “In questo conflitto manca la giustizia e per questo la pace non riesce a farsi strada”, osserva il sacerdote che cita il Concilio Vaticano II. “Come hanno sempre detto i Papi nella storia recente della Chiesa, la pace non è assenza di guerra, non può essere frutto di rapporti di forza imposti sul campo di battaglia. Né allo stesso tempo esito di una resa. La pace può essere solo una pace giusta, che si basi sul rispetto della giustizia, sullo sviluppo dei popoli e la garanzia dei diritti umani e della dignità di ogni individuo. Noi aspettiamo questa pace”.

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Fonte: Sir