Barometro dell’odio 2021, quando l’intolleranza diventa “pandemica”

Una ricerca di Amnesty International analizza l’impatto che le ripercussioni della pandemia da Covid-19 sui diritti economici e sociali hanno avuto sull’odio online. Presi in esame post, tweet, commenti su testate giornalistiche, ecc... I commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech. I dati aumentano quando i contenuti incrociano temi come l’immigrazione

Barometro dell’odio 2021, quando l’intolleranza diventa “pandemica”

Amnesty International Italia ha pubblicato i risultati della sua ricerca “Il Barometro dell'odio”, giunto alla sua quarta edizione e dedicato quest’anno all’intolleranza pandemica. La ricerca, svolta tra giugno e settembre 2020, ha preso in analisi oltre 36 mila contenuti unici, tra post/tweet e relativi commenti di 38 pagine/profili pubblici di politici, testate giornalistiche, rappresentanti del mondo sindacale (organizzazioni e singoli) ed enti legati al welfare.

Il progetto, dedicato al monitoraggio e all'analisi dei discorsi d'odio online, ha coinvolto circa ottanta attivisti di Amnesty International Italia, affiancati da esperti nella valutazione dei contenuti. Il focus principale è stato l’impatto che la pandemia ha avuto sui diritti economici, sociali e culturali e la relativa ripercussione sull’odio online.

“La crisi ha portato alla luce nuove vulnerabilità e discriminazioni, facendo emergere un odio profondo verso i cosiddetti ‘untori’ – afferma Amnesty -. Dall’analisi svolta su circa 40 profili, è risultato evidente che migranti e rifugiati siano il capro espiatorio prediletto dagli odiatori, a fianco di operatori sanitari, runner e di coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici. Ad aumentare il rischio di esclusione e marginalizzazione sociale, in una fase delicata come quella corrente, non vi è però solo il dibattito online sui social network. Un ruolo essenziale è svolto dalla comunicazione istituzionale – continua l’organizzazione -, che può essere più o meno inclusiva e quindi includere o escludere quelle fasce di popolazione che hanno più difficoltà ad accedere a questa tipologia di informazione, perché hanno un grado di alfabetizzazione e di conoscenza della lingua minore, più scarse competenze digitali o sono colpite dal digital divide”.

I temi e le principali sfere dell’odio

Dall’ analisi è emerso che: i commenti sono nel 10,5% dei casi offensivi e/o discriminatori e l’1,2% di questi è hate speech (+0,5% rispetto alle scorse edizioni). Si offende di meno, si incita di più all’odio.
L’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali (DESC): circa 10 commenti su 100 sono offensivi e/o discriminatori o hate speech. I dati aumentano quando questo tipo di contenuti incrocia altri temi: nei post/tweet che parlano di DESC e di “rom” allo stesso tempo, la percentuale sale al 43,2%; nel caso di DESC e “immigrazione” al 20,2%. Nei commenti, quando i temi sui DESC si sovrappongono a “rom” e “immigrazione”, i dati arrivano rispettivamente al 45,2% e al 34,2%;

Le principali sfere dell’odio sono: nei post/tweet islamofobia (46%), sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%); nei commenti islamofobia (21%), razzismo (19,6%), antiziganismo (19%), antisemitismo (16,6%), omobitransfobia (14,5%). Andando oltre le prime cinque sfere dell’odio più diffuse tra i commenti, troviamo quella classista (11,2%). La crisi sociale, economica e sanitaria, ha reso la caccia all’untore ancora più frenetica, facendo emergere nuove vulnerabilità; la Facebook reaction “rabbia” è espressa con maggiore frequenza dagli utenti in risposta a post/tweet dei politici.

"Pandemia, comunicazione, discriminazione"

La ricerca di Amnesty International Italia include un approfondimento sul tema, intitolato "Pandemia, comunicazione, discriminazione", che parte proprio dall'analisi dei testi relativi ad atti, provvedimenti e comunicazioni da parte delle istituzioni durante la fase 2 della pandemia. Le osservazioni in merito riguardano il frame scelto per raccontare la pandemia e il linguaggio utilizzato in termini di comunicazione. In relazione al primo caso, Amnesty International Italia ha sottolineato come sia prevalsa “un'inquadratura di stampo emergenziale, che a differenza di quella associata alla crisi, consente alle istituzioni di focalizzare l'attenzione su risposte di breve periodo e riduce le interlocuzioni con quei corpi intermedi che, molto spesso, sono gli unici a dare una voce ai gruppi più vulnerabili della società”.

Il linguaggio scelto, inoltre, secondo Amnesty International “si è rivelato e si rivela essere spesso complesso, astratto, e di conseguenza atto a generare confusione. Tale tipologia di comunicazione riesce a raggiungere solo una fetta ridotta della popolazione, lasciando indietro i gruppi più vulnerabili e più esposti al rischio di discriminazione sotto diversi profili (fasce poco scolarizzate, comunità con una scarsa conoscenza della lingua, fasce che più di altre hanno scarse competenze digitali o sono colpite dal digital divide). Tuttavia, le difficoltà o l'impossibilità, per queste persone, di fruire a pieno dei propri diritti economici, sociali e culturali o di comprendere i provvedimenti attuati dal Governo, si traduce in una generalizzata riduzione del livello di tutela dei diritti e di sicurezza che si ripercuote su tutta la popolazione”.

Le proposte di Amnesty International

Alla luce di quanto emerso dalla ricerca, Amnesty International Italia ritiene che il Governo debba intervenire per varare misure utili a: rafforzare le campagne di comunicazione e informazione in materia di rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione alla distruzione degli stereotipi e dei pregiudizi; intensificare i programmi di educazione all'interno delle scuole, con una particolare attenzione all'alfabetizzazione digitale; condannare prontamente e in maniera risoluta tutti gli episodi di discorsi d'odio, in particolare quelli veicolati da politici o soggetti che ricoprono cariche pubbliche”.

Ed ancora: promuovere la conoscenza diffusa tra le associazioni della società civile degli strumenti di tutela e supporto alle vittime e supportare i soggetti in grado di intraprendere azioni di difesa delle vittime; promuovere politiche volte all'educazione e responsabilizzazione di un uso consapevole della Rete da parte dei cittadini; evitare l'abuso del linguaggio emergenziale qualora non necessario e preferire un linguaggio che consenta ai cittadini una presa di coscienza chiara sulle misure poste in essere”. Infine, Amnesty chiede di contrastare i commenti d'odio rivolti verso le istituzioni, affiancare alla produzione di testi legislativi, delle note esplicative che consentano ad un pubblico di cittadini più vasto possibile la comprensione delle diverse norme in vigore.

“Allo stesso tempo – conclude l’organizzazione - anche le piattaforme dei social network dovrebbero prevedere una percentuale adeguata di operatori incaricati di ricevere le segnalazioni per la rimozione tempestiva dei discorsi d'odio, intensificare l'attività di monitoraggio, predisporre adeguati strumenti per fornire rapidamente risposte condivise e ben fondate ai post di odio, fornire maggiore chiarezza su come identificare e prevedere un sistema di follow-up delle segnalazioni. Sarebbe altresì utile pubblicare un report periodico sulla quantità di commenti e/o pagine rimosse per incitamento all'odio e il motivo per il quale l'azione è stata intrapresa, così da aiutare governi, associazioni e società civile ad avere un quadro chiaro sulla dimensione del fenomeno dell'hate speech negli spazi virtuali e permettere quindi di meglio intraprendere le azioni correttive conseguenti”.

Amnesty International Italia chiede inoltre al Parlamento di approvare, senza ulteriore ritardo, le proposte di legge attualmente in discussione recanti "Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all'orientamento sessuale, all'identità di genere e alla disabilità". I mezzi di informazione dovrebbero altresì evitare l'utilizzo di titoli sensazionalistici o ad effetto clickbait (acchiappa-click) con frame negativo sulla questione pandemica, al fine di evitare la radicalizzazione dei commenti d'odio online.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)