Brexit, “terzo settore danneggiato da un’agenda politica bloccata”

Dopo la vittoria di Boris Johnson, nel Regno Unito la scadenza di Brexit al 31 gennaio si avvicina. Le associazioni: “L’uscita dall’Ue intasa le discussioni in Parlamento, dove non si prendono in considerazione le esigenze del terzo settore. L’impatto sociale e politico sarà enorme”

Brexit, “terzo settore danneggiato da un’agenda politica bloccata”

LONDRA – “Il terzo settore inglese per ora sta reggendo, il problema è il blocco dell’agenda politica a causa di Brexit: la questione dell’uscita dall’Ue intasa le discussioni in Parlamento, dove non si prendono in considerazione le esigenze del terzo settore. Brexit non è un evento isolato ma un processo politico lungo, che bloccherà il dibattito per mesi. Questo ha avuto e avrà un impatto sociale e politico enorme: tutto è paralizzato e per le associazioni è più difficile portare avanti le proprie istanze su questioni di lungo periodo”. A parlare è Elizabeth Chamberlain, head of policy del National Council for Voluntary Organisations  (Ncvo), la rete che in Inghilterra riunisce oltre 14 mila organizzazioni di volontariato. Dopo che il 12 dicembre il primo ministro britannico Boris Johnson ha ottenuto una grande vittoria elettorale, la Brexit è ormai alle porte: il voto del nuovo Parlamento è previsto per venerdì 20 dicembre. Al momento sembra molto probabile che l’uscita dall’Unione Europea verrà portata a termine entro il 31 gennaio 2020, data dopo la quale è previsto comunque un periodo di transizione che durerà almeno fino alla fine dell’anno.

“Queste elezioni sono state il culmine di un periodo di incertezza per il terzo settore mai sperimentato prima – afferma Chamberlain –. Il contesto politico era diverso da quello passato, perché per la prima volta le opinioni dei cittadini sull’uscita o meno dall’Unione europea non corrispondevano alle preferenze di partito. In questo clima, le associazioni si sono dovute muovere con grande circospezione: per legge le loro azioni devono essere indirizzate esclusivamente al raggiungimento degli obiettivi del loro statuto, senza entrare nel dibattito politico. Altrimenti il rischio sarebbe stato di incrinare la fiducia dei cittadini nelle associazioni, che sono considerate enti super partes”.

Pur non prendendo parte a discussioni pubbliche, all’interno delle stanze delle loro sedi le associazioni inglesi, dalle più piccole alle più grandi, hanno comunque dovuto fare i conti con la futura uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. “Negli ultimi mesi abbiamo dovuto prepararci a Brexit: ecco perché abbiamo scritto una guida con alcuni consigli pratici e procedure da seguire – spiega Chamberlain –. Per prima cosa le associazioni devono pensare alla propria resilienza finanziaria, mettendo in campo misure per sostenere possibili contrazioni economiche. Poi bisogna identificare tutti i fondi proveniente dall’Ue e calcolare se la perdita di alcuni finanziamenti dopo il 2020 potrebbe causare buchi nel fatturato. Infine, è necessario verificare tra i propri dipendenti chi sono i cittadini europei, per aiutarli a familiarizzare con il Settlement scheme, il programma attraverso il quale possono fare domanda per continuare a vivere nel Regno Unito oltre il 30 giugno 2021”.

Per il momento, comunque, il terzo settore inglese sta reggendo: lo dicono i dati raccolti dal Ncvo nel Civil society almanac, un report sulla situazione delle associazioni di volontariato in Inghilterra. Nel 2016/17, il fatturato del terzo settore è arrivato a 50 miliardi e mezzo di sterline, con una leggera crescita (+2 per cento) rispetto all’anno precedente. Nel giugno 2018 erano impiegate più di 850 mila persone, che rappresentano quasi il 3 per cento della forza lavoro totale del Paese. “I finanziamenti e le sovvenzioni continuano a crescere, mentre il numero delle organizzazioni è rimasto stabile, così come il numero di volontari – conclude Chamberlain –. Circa 4 persone su 10 fanno volontariato almeno una volta all’anno, per un totale di più di 20 milioni di persone. Ecco perché non si può parlare di crisi del terzo settore, almeno per il momento: ora che Brexit non è più solo un’eventualità, starà a noi cercare di adattarci al meglio al nuovo contesto”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)