Caos sul Csm. Mirabelli (presidente emerito Corte costituzionale): “Servono regole di costume e linee di deontologia”

Con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e alla fine degli anni Ottanta vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, parliamo delle implicazioni di una vicenda in cui si intrecciano storie di corruzione, di killeraggi a danno di altri giudici, di accordi tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati e con esponenti di primo piano del mondo politico, per incidere sulle nomine di alcuni dei più importati uffici giudiziari del Paese. Storie che, naturalmente, devono essere ancora verificate sul piano giudiziario e disciplinare, ma che hanno già sconvolto l’attività del Csm e suscitato sconcerto nell’opinione pubblica

Caos sul Csm. Mirabelli (presidente emerito Corte costituzionale): “Servono regole di costume e linee di deontologia”

“Bisogna guardare avanti, bisogna avere lo sguardo rivolto al futuro per capire, al di là dell’accertamento delle responsabilità individuali, che cosa fare, quali rimedi apportare. L’indipendenza della magistratura va tutelata in ogni direzione, dev’essere anche indipendenza dalle correnti”. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, alla fine degli anni Ottanta è stato anche vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno delle toghe oggi al centro di una bufera politico-giudiziaria senza precedenti. Con lui parliamo delle implicazioni di una vicenda in cui si intrecciano storie di corruzione, di killeraggi a danno di altri giudici, di accordi tra le correnti dell’Associazione nazionale magistrati e con esponenti di primo piano del mondo politico, per incidere sulle nomine di alcuni dei più importati uffici giudiziari del Paese. Storie che, naturalmente, devono essere ancora verificate sul piano giudiziario e disciplinare, ma che hanno già sconvolto l’attività del Csm e suscitato sconcerto nell’opinione pubblica. L’attuale vicepresidente del Csm, David Ermini, ha parlato di una “ferita profonda e dolorosa” inferta alla magistratura.

Professore, davanti a quanto sta emergendo l’impressione è che ci sia qualcosa che non vada proprio a livello di sistema…
Anche. Ma non sottovalutiamo la necessità di modificare il costume. Ogni sistema può essere corrotto dai comportamenti dei singoli.

Il Csm è un organo a composizione mista; a parte i membri di diritto, un terzo dei suoi componenti è di nomina parlamentare, gli altri due terzi sono eletti dai magistrati. È a questo livello che viene fuori il ruolo sempre più determinante delle correnti dell’Anm, il “sindacato” dei magistrati.
Bisogna intervenire per cercare di limitare e, meglio ancora, di eliminare la presa delle correnti sulle nomine. Il Consiglio non può essere l’espressione mediata delle correnti dell’Anm.

Esse sono nate come luoghi di confronto e di dibattito ma c’è il rischio che si trasformino in strumenti di occupazione delle istituzioni.

Un altro terreno che richiede una messa a punto, in tutta evidenza, è quello delle modalità con cui il Csm nomina gli uffici direttivi.
In base alle leggi e ai regolamenti sono tre i criteri fondamentali di cui il Consiglio deve tenere conto nelle nomine: anzianità, merito e attitudine. Si tratta quindi di applicare questi criteri con la massima trasparenza e oggettività. Un altro criterio da definire o comunque da mettere in pratica è quello di un rigoroso ordine di precedenza ed è altresì molto importante provvedere con tempestività agli incarichi man mano che si determina la necessità di effettuare delle nomine. Viceversa sono da evitare le cosiddette nomine ‘a pacchetto’, con cui si affrontano insieme diverse situazioni così da compensare una scelta con un’altra e garantire gli equilibri tra le correnti.

Avere delle ambizioni professionali è legittimo, ma dal punto dei vista dei cittadini non è uno spettacolo edificante – per usare un eufemismo – osservare i magistrati che si fanno la guerra per occupare una certa poltrona…
È stata una grande conquista della magistratura l’idea, che trova riscontro anche nella Costituzione, secondo cui i magistrati sono tutti uguali e si distinguono soltanto per le funzioni. Purtroppo nelle carriere reali non è così, ci si affanna per la nomina in un ufficio che darà più prestigio o il cosiddetto ‘potere’.

E magari anche più visibilità attraverso i rapporti con la stampa. E’ per questo che vengono privilegiate le procure, la cui attività è sempre sotto i riflettori. Al contrario, per esempio, nessuno conosce i nomi dei giudici della Cassazione che pure hanno emesso sentenze della massima rilevanza giudiziaria.

Le vicende più recenti hanno riproposto, sia pure da un’angolazione diversa, il problema annoso del rapporto tra magistratura e politica.
Servono regole di costume e linee di deontologia per allentare il rapporto bidirezionale – sottolineo: bidirezionale – tra i magistrati e la politica. E ciò sia nei rapporti personali che nell’esercizio delle funzioni. L’indipendenza della magistratura è un valore fondamentale che va declinato in tutti i suoi aspetti. La Costituzione, infatti, afferma che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. In questo modo, però, sottolinea anche che alla legge sono soggetti davvero. Non sono creatori di norme.

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Fonte: Sir