Caso Rackete. Dissequestro penale per Sea Watch, ma nave resta bloccata in porto

Rimane il sequestro amministrativo. All’ong è stata notificata anche la sanzione di 16.666 euro. Da tre mesi la nave è ferma a Licata. Carola: “Un abuso volto a evitare il salvataggio di altre vite umane”

Caso Rackete. Dissequestro penale per Sea Watch, ma nave resta bloccata in porto

ROMA - Dopo tre mesi dall’ormai storica entrata nel porto di Lampedusa della capitana Carola Rackete, la procura di Agrigento ha disposto il dissequestro probatorio della Sea-Watch 3. Ma la nave non può lasciare il porto di Licata. A denunciarlo è la stessa ong in un comunicato stampa. Il 2 settembre, infatti, è stato notificato il sequestro cautelare amministrativo della nave, insieme ad una “nuova sanzione amministrativa di 16.666 euro, cui Carola e Sea-Watch sono obbligati in solido. Se confermata dal Prefetto, tale misura segnerebbe la definitiva confisca della nave” si legge nella nota.

L’organizzazione contesta l’applicazione della sanzione perché secondo la prima versione del Decreto Sicurezza bis, che era ancora in vigore durante il caso Sea-Watch, la confisca era applicabile solo in caso di “reiterazione” della condotta, clausola elisa nel successivo emendamento e conversione in legge. Per i legali si tratta quindi di una “interpretazione distorta e politicamente rivolta al blocco della nave ad ogni costo”: si giustifica la “reiterazione con l’ingresso, avvenuto il 26 giugno, e la sosta della Sea-Watch 3 nelle acque territoriali quando, il 28 giugno, nell’impossibilità di effettuare l’approdo in porto, osteggiato dalle autorità, gettava l’ancora in attesa di sviluppi e nella speranza di non essere costretta a entrare non assistita”.

L’ong ricorda che la stessa ordinanza del Giudice di Agrigento di non convalida dell’arresto di Carola aveva ritenuto inapplicabile il pacchetto sicurezza bis nella fattispecie. “Il sequestro cautelare amministrativo è palesemente illegittimo alla luce dello stesso decreto sicurezza bis nella sua prima versione: un oltraggio all’intelligenza” lo definisce Gamberini, legale difensore di Sea-Watch. L’organizzazione ha intrapreso azioni giuridiche contro l’allora decreto-sicurezza bis, le multe e il sequestro, nelle sedi civili e amministrative competenti. “La legge sul pacchetto sicurezza calpesta il dovere di un comandante di portare in salvo naufraghi soccorsi in mare e colpisce la dignità di un Paese che oggi considera una nave che salva vite, adempiendo a un dovere di legge e a un obbligo morale, come una minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico”, commenta Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch. “Chiediamo altresì che si faccia luce sulla responsabilità di chi ha ordinato che quell’ingresso fosse impedito”. “Questo sequestro è una perdita di tempo ingiustificabile e un abuso volto a impedire gli sforzi per salvare vite. Se i governi non agiscono, come cittadini europei dobbiamo fare in modo che nessuno muoia in mare, almeno fino a quando non ci sarà un adeguato dispositivo di soccorso e alternative sicure e legali alla migrazione, non nelle mani dei trafficanti”, chiosa la comandante Carola Rackete. 

Il fatto

Il 12 giugno Sea-Watch aveva soccorso 53 naufraghi a circa 70 km dalle coste libiche (46nm). Non avendo ricevuto indicazioni dalle autorità contattate se non quella di dirigersi a Tripoli, la Sea- Watch 3 ha fatto rotta verso Lampedusa. La stessa notte in cui la Sea-Watch 3 giunge al confine con le acque territoriali italiane, tra il 15 e il 16 giugno, entra in vigore il Decreto Sicurezza bis, che criminalizza l’ingresso delle navi che costituirebbero una minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico poiché in violazione del diritto internazionale. “Il decreto poi convertito in legge si fonda su un’interpretazione distorta del diritto del mare di fatto criminalizzando l’attività umanitaria in adempimento del dovere di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà in mare - spiega l’ong -. La Sea-Watch-3 abbandonata dalle autorità e dalle istituzioni italiane ed europee, il 26 giugno dichiara lo stato di necessità e fa ingresso nelle acque territoriali ma nemmeno allora le è concesso l’ingresso in porto. Nell’impossibilità di prolungare una situazione ormai disperata, la Comandante Carola entrava nel Porto di Lampedusa, oltremodo ostacolata dalle autorità, con 40 naufraghi rimasti a bordo, a seguito di precedenti evacuazioni mediche”. Su Carola Rackete pendono due indagini penali, una relativa al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’altra la vede indagata per resistenza e disobbedienza a nave da guerra e resistenza a pubblico ufficiale. Le indagini sono ancora in corso, in attesa di ulteriori sviluppi dell’autorità giudiziaria ma con la ferma convinzione, per come già rilevato dal Gip di Agrigento che la condotta di Carola era giustificata dall’adempimento di un dovere di trovare un porto sicuro ove far sbarcare i naufraghi soccorsi in mare. 

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)