Caso Zaki, Emma Bonino: “Interessi economici con l’Egitto valgono più dei diritti umani”

La senatrice di Più Europa racconta il lavoro della Commissione per i diritti umani sulla vicenda dello studente egiziano dell’Università di Bologna in carcere al Cairo da quasi un anno. “L’unica cosa che possiamo fare è perseverare con cocciutaggine. Purtroppo sono tanti i casi simili in tutto il mondo, e l’Italia chiude un occhio: sono i rapporti di interdipendenza economica che ti portano a non voler vedere la repressione”

Caso Zaki, Emma Bonino: “Interessi economici con l’Egitto valgono più dei diritti umani”

“Il rapporto tra diritti umani e interessi economici è vecchio come il mondo. Non mi stupisco più di tanto che l’Italia continui a fare affari con l’Egitto nonostante Patrick resti in carcere, e nonostante le gravi violazioni che avvengono nel Paese. La Francia addirittura ha dato la Legion d’onore al presidente egiziano Al-Sisi: il nostro paese non è né unico né originale”. Non usa mezzi termini Emma Bonino, senatrice di Più Europa e membro della Commissione per i diritti umani, parlando della detenzione di Patrick Zaki, lo studente dell’Università di Bologna in carcere al Cairo da 340 giorni con l’accusa di sovversione e terrorismo. Mentre ieri il Consiglio comunale di Bologna gli ha conferito la cittadinanza onoraria per chiederne la liberazione, la senatrice Montevecchi, anche lei membro della Commissione, ha richiesto l’istituzione di un Osservatorio permanente sulla sua detenzione. “L’unica cosa che possiamo fare è perseverare, non ci sono altre soluzioni. Zaki ci sta particolarmente a cuore perché studiava a Bologna, ma sono tanti i casi simili che sto seguendo: oltre che in Egitto, anche in Turchia, in Cina, e nei sistemi che usano il carcere per ammutolire gli oppositori. Le dinamiche sono sempre le stesse. Soluzioni miracolose non ce ne sono: bisogna proseguire con cocciutaggine, continuando a lavorare per la sua liberazione, anche se ancora non si vedono i risultati”.

Tra poco sarà un anno che Patrick è in carcere. La Farnesina ha riportato a casa diversi prigionieri, tra cui i pescatori italiani trattenuti in Libia, padre Pierluigi Maccalli e Nicola Chiacchio. Come mai con Zaki non ci siamo ancora riusciti?
Il fatto che Patrick sia egiziano è sicuramente un fattore. Già non siamo andati molto avanti con la vicenda dell’assassinio e delle torture di Giulio Regeni, che era nostro concittadino. I diritti umani e civili però sono universali, e vanno garantiti per chiunque, anche per chi non è italiano.

Il governo italiano potrebbe procedere con il rientro dell’ambasciatore italiano al Cairo o la sospensione degli accordi economici con l’Egitto, ma non lo sta facendo. Perché?
È evidente che, anche se si tratta di contesti in cui vengono violati i diritti umani, non si possano interrompere i rapporti con paesi come la Cina o l’Egitto, la cui importanza geopolitica ed economica è cruciale. Questo è chiaro. Rispetto alla possibilità di far rientrare l’ambasciatore, io continuo a essere contraria: le relazioni diplomatiche vanno intensificate, piuttosto che interrotte, se si vuole arrivare all’obiettivo. In casi come questo ho sempre chiesto di rafforzare le nostre ambasciate, in modo da avere più informazioni e più contatti: è quello che ho fatto anche nella vicenda di Alma Shalabayeva in Kazakistan, e alla fine ha funzionato, perché dopo sei mesi è tornata a casa.

Perché non procedere invece con il richiamo dell’ambasciatore per consultazioni?
Certo, quella è una mossa sempre percorribile e che non implica nessuna rottura. Bisogna però sapere che indicazioni dare a questo ambasciatore: in questo momento, l’unica cosa che può fare credo sia di insistere, seguire la vicenda con la massima attenzione, andare alle sedute processuali e mostrarsi vigile.

Nel 2017 l'Italia ha introdotto il reato di tortura, parallelamente però continua a supportare un regime che ha torturato sia Regeni sia Zaki. I diritti umani possono avere due pesi e due misure?
Ne supportiamo tanti, di paesi che usano ancora la tortura, non solo l’Egitto. Ripeto, sono i rapporti di interdipendenza economica che ti portano a non voler vedere la repressione: oltre al regime di Al Sisi, pensiamo a quello di Xi Jinping in Cina, o di Erdogan in Turchia. Questa è una delle difficoltà e delle contraddizioni del nostro modello di sviluppo, dove gli interessi economici hanno un grande peso, a discapito dei diritti umani. Ecco perché non dovremmo agire come se ne fossimo i portatori, perché non è così.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)