Colpo di stato in Myanmar, proseguono le manifestazioni (e le repressioni)

Oltre alla polizia, a contrastare le proteste c’è anche il Tatmadaw, il potente esercito birmano: 18 i morti di domenica 28 febbraio. Unanime la condanna a quanto sta accadendo nel Paese asiatico 

Colpo di stato in Myanmar, proseguono le manifestazioni (e le repressioni)

Le manifestazioni contro il colpo di stato in Myanmar proseguono nonostante tutto. Nonostante i 18 morti di domenica 28 febbraio. E nonostante la violenta repressione del nuovo potere, che si è già visto in azione con forze che sparano ad altezza uomo contro i civili. Oltre alla polizia, a contrastare le proteste c’è anche il Tatmadaw, il potente esercito birmano. E tra loro, è stata notata anche la presenza della 33a divisione di fanteria leggera, un gruppo impiegato quattro anni fa contro la minoranza Rohingya.
La condanna a quanto sta accadendo nel Paese asiatico è unanime. Ravina Shamdasani, portavoce Onu, ha dichiarato: “Il popolo del Myanmar ha il diritto di riunirsi pacificamente e chiedere il ripristino della democrazia. L'uso della forza letale contro manifestanti non violenti non è mai giustificabile in base alle norme internazionali sui diritti umani”. E allo stesso modo si sono espresse le maggiori organizzazioni che si occupano di diritti umani. Amnesty International ha dichiarato di essere “scioccata per l'uso della forza letale da parte della polizia e dell'esercito del Myanmar”, chiedendo “l'immediata fine dell'impiego delle armi da fuoco contro i manifestanti pacifici che scendono in piazza da un mese in varie città del Paese”. Mentre il vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, Phil Robertson, ha detto: “Le munizioni vere non dovrebbero essere usate per controllare o disperdere le proteste e la forza letale può essere utilizzata solo per proteggere la vita o prevenire lesioni gravi”.
In prigione, stando ai dati diffusi dal Political Prisoners Monitoring Group, sono finite finora 1.213 persone, tra cui anche tanti operatori dell’informazione. Tra questi Ko Kaung Myat Naing, che è riuscito a mostrare in diretta per Democratic Voice of Burma (Dvb) il suo arresto: si vedono poliziotti e militari intorno alla sua casa, lui che domanda dove sia il mandato e gli agenti che, per tutta risposta, esplodono alcuni colpi in aria e lanciano pietre in direzione della sua abitazione.
Avanza nel frattempo il processo contro Aung San Suu Kyi. Lunedì 1° marzo c’è stata la seconda udienza per la leader del Partito nazionale per la democrazia, che a questo punto rischia 9 anni di prigione e il divieto di candidarsi. È accusata di “importazione e utilizzo illegale di apparecchiature di trasmissione e ricezione radio”, di aver “violato la legge sulla gestione delle catastrofi”, di “violazione delle legge sulla comunicazione e incitamento al disordine pubblico”. Il suo avvocato ha dichiarato che la Suu Kye è “in buona salute”.

L’articolo integrale di Fabio Polese (da Hua Hin, Thailandia), Myanmar: le proteste contro il colpo di Stato proseguono, la repressione pure, può essere letto su Osservatorio Diritti.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)