Contagiata, in prigione e senza cure. La storia dell'attivista iraniana Narges Mohammadi

La Fondazione Alexander Langer si sta adoperando per trovare una soluzione alla drammatica situazione in cui si trova Narges Mohammadi.

Contagiata, in prigione e senza cure. La storia dell'attivista iraniana Narges Mohammadi

“Siamo 12 donne contagiate con coronavirus”. Inizia così la drammatica lettera che Narges Mohammadi, attivista iraniana per i diritti umani, ha scritto in questi giorni dal carcere di Zanjan dove dal 2016 è rinchiusa per scontare una pena di 16 anni per “aver fondato e gestito il gruppo illegale Legam, un movimento per i diritti umani che si batte per l’abolizione della pena di morte”.

In Medio Oriente l’Iran è uno dei Paesi più colpiti dal Covid-19. Ad oggi i contagi hanno superato soglia 270mila e, con poco meno di 14mila morti, il Paese mediorientale è al 9° posto per numero di decessi, alle spalle dell’India.

In queste settimane il virus ha varcato anche i cancelli del carcere femminile di Zanjan. E ha colpito anche la 48enne Narges Moahmmadi, a cui, nel 2009, la Fondazione Alexander Langer di Bolzano ha assegnato il Premio Langer per il suo impegno per “l’uguaglianza di tutti i cittadini, indipendentemente dall’appartenenza di genere e dalle opinioni politiche o religiose”, impegno che negli anni l’ha portata più volte in carcere.

L’11 luglio hanno separato le donne prigioniere del carcere – scrive Narges Mohammadi nella lettera che la Fondazione Alexander Langer ha pubblicato sulla sua pagina Facebook -. Noi siamo complessivamente 18 donne in questo carcere. Sei donne non avevano i sintomi della malattia e sono state trasferite in un’altra sezione del carcere. Noi 12 donne, che da circa 11 giorni presentiamo i sintomi della malattia, siamo praticamente in quarantena in questa sezione del carcere”.

“La settimana scorsa, viste le nostre condizioni di salute e con l’insistenza delle nostre famiglie, ci hanno fatto il test – prosegue l’attivista iraniana per i diritti umani –. Non abbiamo comunque ricevuto fino ad oggi i risultati. Oggi improvvisamente sono entrate alcune persone nel carcere e ci hanno separato nuovamente. Una donna in condizioni cliniche preoccupanti è stata trasferita giovedì scorso in ospedale e successivamente rilasciata su cauzione a seguito della diagnosi di Covid. In circa un mese abbiamo avuto 30 nuove persone che sono entrate in questo carcere, di cui alcune con sintomi da coronavirus ed almeno una di loro con diagnosi certa di Covid, che è stata successivamente rilasciata a causa del peggioramento delle sue condizioni di salute”.

Lo stato di salute delle altre detenute – compreso quello di Narges Mohammadi, che soffre di altre gravi patologie, tra cui un disturbo neurologico che le provoca convulsioni e paralisi parziale temporanea – è grave e ad oggi nessuna di loro ha ricevuto delle cure.

“Noi 12 donne presentiamo sintomi di affaticamento eccessivo e dolore addominale, diarrea, vomito, perdita di olfatto – scrive Mohammadi –. Non abbiamo accesso alle cure adeguate né ad una alimentazione corretta. La mancanza di strutture mediche, la mancanza di spazio per la quarantena per nuove entrate e la mancanza di controllo sanitario ha causato la diffusione del coronavirus. Chiedo al Signor Namaki, Ministro della sanità, di inviare un rappresentante per prendere visione della situazione nella prigione femminile di Zanjan. Vorrei inoltre denunciare per vie legali le condizioni difficili ed intolleranti della prigione di Zanjan, ove mi trovo da circa 6 mesi, e la mancanza di cure mediche”.

L’attivista iraniana per i diritti umani, che è anche portavoce e vicepresidente del “Defenders of Human Rights Center” (Centro per la difesa dei diritti umani), guidato dal premio Nobel per la pace 2003 Shirin Ebadi, ha chiesto di poter acquistare del cibo a sue spese. Ma anche questo le è stato negato. “In questo periodo – scrive la donna – per l’esplicita richiesta del Ministero dell’Intelligenza e della Magistratura, non mi consentono di comprare carne a mie spese”.

Un gruppo di esperti sui diritti umani delegati dalle Nazioni Unite avevano inviato lo scorso aprile una lettera alla Repubblica islamica dell’Iran, chiedendo di estendere la liberazione temporanea per Covid-19 anche ai prigionieri di coscienza e ai cittadini con pregresse condizioni di salute. Tra questi c’è anche Narges Mohammadi. Il Governo iraniano ha risposto che sono stati liberati solo quanti stavano scontando condanne a meno di cinque anni, mentre i prigionieri politici e quelli con condanne più pesanti, legate alla partecipazione a proteste antigovernative, sarebbero comunque rimasti in prigione, perché considerati “terroristi” e “criminali contro la sicurezza”.

La Fondazione Alexander Langer si sta adoperando in questi giorni per trovare una soluzione alla drammatica situazione in cui si trova Narges Mohammadi.

È nelle ultime righe della sua lettera che Narges rivolge l’appello più straziante. “Non mi è consentito neanche di sentire i miei figli per telefono – scrive –. Non sento la voce dei miei figli da quasi un anno. Ora sono anche contagiata con coronavirus, senza cure mediche”.

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Fonte: Sir