Coronavirus, 160mila italiani hanno la casa pignorata

Rapporto Federcasa. La pandemia da Covid-19 ed il conseguente lockdown hanno determinato un pesante impatto sul reddito e sulle condizioni di vita delle famiglie italiane, tanto che una su quattro ha avuto difficoltà a pagare l’affitto, e oltre il 40% prevede di non riuscire a pagarlo nei prossimi 12 mesi

Coronavirus, 160mila italiani hanno la casa pignorata

 La pandemia da Covid-19 ed il conseguente lockdown hanno determinato un pesante impatto sul reddito e sulle condizioni di vita delle famiglie italiane, tanto che una su quattro ha avuto difficoltà a pagare l’affitto, e oltre il 40% prevede di non riuscire a pagarlo nei prossimi 12 mesi. A soffrire sono state anche le famiglie con un mutuo le quali, a causa delle difficoltà nel far fronte alle rate, hanno generato un ammontare di crediti deteriorati in pancia alle banche di 15,6 miliardi di euro. Ad aggravare il quadro generale si aggiunge il fatto che poco meno di 100.000 famiglie rischiano di diventare inadempienti, anche dopo l’emergenza, mentre 160.000 hanno la casa pignorata. Sono questi alcuni dati diffusi oggi da Federcasa, in occasione dell’Assemblea nazionale, e contenuti all’interno dello studio “Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza Covid-19. Numeri e riflessioni per una politica di settore”, che la Federazione ha commissionato all’istituto Nomisma.

La ricerca evidenzia come l’emergenza Coronavirus abbia aggravato ulteriormente una situazione già drammatica, per molti nuclei familiari a basso reddito e come non siano stati finora programmati interventi seri per fare fronte all’emergenza abitativa. Una questione che in Italia riguarda 1 milione e 475mila famiglie italiane, il 5,6% del totale, delle quali 783 mila con situazione di disagio acuto e 692 mila con disagio grave. A preoccupare è anche il numero dei cittadini che vivono in condizioni di povertà assoluta: 1,674 milioni, secondo l’Istat, nel 2019, con la loro incidenza, sull’insieme delle famiglie italiane, che è raddoppiata negli ultimi 15 anni, passando da 3,6% a 6,4%. Il Mezzogiorno presenta l’incidenza più alta rispetto al totale delle famiglie residenti: 8,6%, a fronte del 5,2% medio del Nord e Centro Italia. Le famiglie italiane in disagio abitativo che vivono in affitto sono 1,150 milioni, mentre 320mila vivono in una casa di proprietà. Chi è in affitto paga un canone medio mensile compreso tra i 380 e i 450 euro, che grava pesantemente sul bilancio familiare, mentre chi vive in un’abitazione di proprietà deve pagare una rata mensile del mutuo compresa tra i 530 e i 580 euro. Di fronte a una situazione è evidente come il sistema di edilizia residenziale pubblica rivesta un ruolo fondamentale in termini di risposte al disagio abitativo.

Oggi la sola componente legata agli affitti incide per oltre il 64,5% sulla spesa per l’abitazione delle famiglie. A fronte di questi dati si calcola come, in caso di un abbattimento del canone medio da locazione a 200 euro, il disagio abitativo al di fuori dell’ERP passerebbe dall’attuale milione di famiglie a circa 363.000 nuclei. Se si praticasse un’ulteriore riduzione del canone fino a portarlo a 110 euro, 288.000 famiglie resterebbero in situazione di disagio ma ne uscirebbero complessivamente 712.000. Tenuto conto che il canone medio praticato in Italia per l’ERP è di 110 euro, è chiaro come il fenomeno possa trovare una risposta all’interno del sistema dell’edilizia residenziale pubblica. Tuttavia in Italia gli investimenti nel settore sono limitati.

“È necessario impostare un piano d’investimenti a medio termine, che agisca su più fronti - commenta il presidente di Federcasa, Luca Talluri – Anzitutto, perché vista la domanda diventa questione strategica, occorre un piano di edilizia residenziale pubblica che porti ad avere almeno 200mila alloggi in più rispetto agli attuali circa 800mila in 15/20 anni, attraverso la demolizione/ricostruzione di alloggi esistenti che hanno raggiunto il fine vita edilizio con aumento del numero (demolisco 60 e ricostruisco 100) e/o mediante la rigenerazione urbana di aree pubbliche dismesse. I fondi potrebbero arrivare da forme tradizionali, come i finanziamenti a fondo perduto (statali, regionali o comunali), oppure tasse di scopo, o quote di spesa del bilancio e fondi europei come il Piano Junker-Prodi e il Recovery Found, con strumenti finanziari che facciano da ‘garanzia’ per la bancabilità delle aziende casa. Inoltre occorre intervenire sulla riqualificazione del patrimonio esistente, dove con un piano di investimenti di circa 300 milioni all’anno si potrebbero mettere a disposizione circa 12mila alloggi, ogni anno, per nuove assegnazioni”.

“La risposta al disagio abitativo – afferma Luca Dondi, Amministratore Delegato di Nomisma - non può che arrivare da una ritrovata e rinnovata politica pubblica della casa. L’Italia si posiziona quarta in Europa per spesa per protezione sociale in rapporto al Pil (20,8%), ma la composizione della spesa è decisamente spostata verso la previdenza, a scapito delle altre funzioni, tra le quali l’abitazione. Infatti, nel nostro sistema di welfare le politiche abitative sono state sempre la «cenerentola» delle politiche sociali. Le situazioni di povertà son molteplici e tra loro interdipendenti. Per questo è necessario intervenire con un ‘welfare integrato’ dove il contrasto alla povertà abitativa rappresenta l’anello da cui partire per sostenere e favorire l’accesso all’istruzione, alla formazione e all’occupazione”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)