Covid-19, "la mia quarantena a Seul, così diversa da quella italiana"

Europa alle prese con un boom di contagi, in estremo Oriente invece - ad iniziare da Giappone e Corea del Sud - la situazione è sotto controllo. Una ragazza italo-coreana racconta il suo viaggio e la sua quarantena a Seul

Covid-19, "la mia quarantena a Seul, così diversa da quella italiana"

Mentre l’Europa fronteggia la tanto temuta seconda ondata di epidemia da Covid-19, in Cina, Corea del Sud e Giappone, la situazione sembra essere stabile e sotto controllo. I fattori che hanno determinato questo fortissimo gap sono molteplici, a partire da una tecnologia più avanzata fino a una maggiore rete di sorveglianza da parte del governo. Senza dimenticare poi, la grandissima influenza, almeno in Cina e in Corea del Sud, della filosofia confuciana, profondamente radicata nella cultura di questi due popoli e che li rende fortemente votati al rispetto delle regole imposte dal governo.

Un altro dato da non sottovalutare è poi la tenace insistenza del governo sudcoreano nel mantenere le rigide norme di contenimento del virus anche in estate. Come racconta a Redattore Sociale Han Je Hee, sudcoreana di origine e residente a Roma da più di quindici anni.
“Per motivi familiari molto seri, ad agosto sono dovuta rientrare a Seul, dove vivono i miei genitori. Pianificare il viaggio è stato difficile per via delle numerose restrizioni imposte dal governo, ma sono consapevole di quanto siano necessarie per garantire la salute di tutti”.
Come racconta Jee, appena scesi dall’aereo tutti i passeggeri vengono guidati in un percorso suddiviso in più blocchi. Nel primo un addetto alla sicurezza aeroportuale aiuta i viaggiatori a compilare i moduli riguardanti il paese di provenienza, gli spostamenti degli ultimi mesi o le possibili esposizioni al virus. Nel secondo blocco, il personale dell’aeroporto procede all’istallazione sui cellulari di un’app di tracciamento mentre nel terzo step si compila un modulo dove si dichiara il luogo in cui si svolgerà la quarantena.
“Ho scelto di trascorrere i quattordici giorni di isolamento in uno degli alberghi preposti – dichiara Jee; - non volevo andare a casa e rischiare di contagiare i miei genitori in caso avessi contratto il virus durante il viaggio”. In Corea del Sud vi sono degli alberghi adibiti allo svolgimento della quarantena. Il costo di queste strutture si aggira intorno agli 80-100 euro al giorno.
“Dopo aver ritirato le valige – prosegue Jee – degli addetti in tuta ti accompagnano alla fermata taxi e bus. Sono vetture predisposte per il trasporto di persone che potrebbero essere positive al Covid e accompagnano solo quei viaggiatori che poi faranno la quarantena. Nel prezzo del biglietto, sia del bus che del taxi, è compresa la fermata alla Asl più vicina per effettuare il tampone”.
Per quattordici giorni Jee è rimasta in albergo, dove lo staff dell’hotel si è occupato di fornire tutto il necessario per rendere il periodo di quarantena più sopportabile possibile. “Il governo fornisce alle persone in isolamento un “Kit Covid19”, con diverse mascherine usa e getta, gel per le mani, spray antibatterico, termometro adesivo, riviste, una lista di esercizi da fare in stanza o in casa e pacchi di frutta. L’albergo naturalmente è a pensione completa, con tre pasti al giorno e vari snack. Le porte delle stanze hanno un sensore che registra apertura e chiusura tramite una telecamera. I file vengono inviati direttamente alla reception che controlla che nessuno degli ospiti esca dalla stanza. L’albergo fornisce anche degli appositi sacchi dell’immondizia che poi un addetto passerà a ritirare e a smaltire in luoghi appositi”.

Un vero e proprio spiegamento di forze, insomma, una catena ben oliata dove tutti, dal singolo cittadino agli organi governativi, si impegnano a collaborare per fermare l’epidemia. Naturalmente queste restrizioni hanno fatto sì che il settore turistico ne risentisse, almeno in parte. Non a caso, dallo scoppio dell’epidemia il governo sudcoreano ha reintrodotto il visto per i cittadini provenienti dai paesi aderenti alla Convenzione di Shengen che viaggiano in Corea del Sud. Ma la quasi assenza di casi premia quello che viene definito il “modello Corea”.

“È sicuramente un percorso faticoso, ma funziona. D’altro canto – conclude Jee – sono rimasta spiacevolmente sorpresa quando, rientrata dopo il mio viaggio nuovamente a Roma, all'aeroporto di Fiumicino mi è stato detto che essendo atterrata dopo le nove di sera non avrei potuto effettuare il tampone là sul posto. Questo significa che sta alla serietà del viaggiatore recarsi il prima possibile a fare il test per verificare la positività o meno al virus”. E' chiaro che in questa situazione è molto più difficile accertarsi sia che i viaggiatori rispettino la quarantena sia che gli spostamenti, anche solo quelli per recarsi alla Asl per svolgere il tampone, siano effettuati in tutta sicurezza.

Chiara Capuani

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)