Covid 19, la pandemia ha aumentato sfruttamento e difficoltà dei migranti

Dalla regolarizzazione parzialmente fallita alla spirale d’odio razzista, dai blocchi agli spostamenti alle regole per il culto: presentato oggi il Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato da Idos in partenariato con Confronti. I migranti “vittime due volte dell'emergenza coronavirus”

Covid 19, la pandemia ha aumentato sfruttamento e difficoltà dei migranti

All’inizio furono considerati “immuni”, poi d’improvviso diventarono gli “untori”, in realtà la pandemia da Covid 19 ha inciso, e in peggio, anche sui migranti, peggiorandone le condizioni di vita e sfruttamento. A tracciare un primo bilancio sull’emergenza sanitaria vista dagli stranieri è il Dossier Statistico Immigrazione 2020, realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti, presentato oggi in diretta streaming. 

Dal parziale fallimento della regolarizzazione allo “tsunami di odio e xenofobia” 

Il 2020 sul fronte migratorio si caratterizza, infatti, per diversi episodi: dal parziale fallimento della regolarizzazione (la nona dal 1982) allo “tsunami di odio e xenofobia” e alla “ricerca di un capro espiatorio” (parole del segretario Onu Guterres). ma anche per il blocchi degli spostamenti e gli aerei speciali per la raccolta della frutta all’estero. Il rapporto sottolinea come la pandemia da Covid-19 abbia portato con sé problemi aggiuntivi o ha aggravato condizioni di vita già difficili di molti migranti. In particolare, secondo Gianfranco Schiavone dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) la nuova sanatoria per gli immigrati attivi nei settori dell’assistenza, del lavoro domestico e dell’agricoltura è stata una grande occasione mancata. Lanciata dal governo per venire incontro alle esigenze di cura dei familiari e di approvvigionamento alimentare degli italiani, essa è stata appunto un parziale fallimento per la parte riguardante l’emersione del lavoro irregolare (comma 1 del decreto 103/2020). Le “sole” 207 mila domande pervenute per questo comma, a fronte di una platea di 621 mila lavoratori stranieri irregolari, sono spiegate in parte dall’impostazione della norma, basata “quasi interamente sulla sola volontà del datore di lavoro di far emergere o meno il rapporto di lavoro irregolare” (escludendo di fatto le fasce più sfruttate). Ma si spiegano soprattutto con l’esclusione di altri settori lavorativi come la ristorazione, il magazzinaggio, il commercio: una scelta, scrive Schiavone, di “gratuita crudeltà” che ha tagliato fuori all’origine almeno 180 mila persone. Un “secco fallimento” è invece stata la regolarizzazione per la parte (comma 2) riguardante i migranti che avevano avuto in passato un percorso di regolarità di soggiorno o un rapporto lavorativo regolare: anche qui la rigidità dei criteri decisi ha impedito l’applicazione della norma e le sole 13 mila domande raccolte lo dimostrano. Una analisi condivisa anche dal Grei 250, un gruppo di esperti formatosi proprio dopo l’annunciata regolarizzazione. 

Secondo Marco Omizzolo, sociologo di Eurispes durante l’emergenza Covid si è registrato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle campagne (40-45 mila persone), con un peggioramento delle condizioni lavorative, un incremento sia dell’orario di lavoro (oscillato tra 8 e 15 ore giornaliere) che del numero (20%) di ore lavorate e non registrate, un peggioramento della retribuzione. Tutti effetti, dice il sociologo, “dell’intreccio perverso tra la pandemia e il sistema dello sfruttamento dei migranti”. A cui si è aggiunto “l’aumento esponenziale dell’arrendevolezza” dovuto al clima emergenziale che ha spinto molti migranti sfruttati “a considerare se stessi come secondari rispetto ai destini degli italiani” e quindi a rinunciare spesso alle giuste rivendicazioni. Critica anche la situazione di chi lavora in casa, come spiega il saggio sul lavoro domestico ai tempi del coronavirus, scritto da Andrea Zini di Assindatcolf. Sono stati 13 mila i posti di lavoro persi in questo settore, che totalizza 850 mila lavoratori in massima parte immigrati. Ambiguo, per Zini il “successo” della regolarizzazione, che ha avuto ben 177 mila domande in questo ambito, ma ha escluso tutto il lavoro nero. 

I migranti vittime due volte del coronavirus

Non solo, ma secondo Elena D’Angelo del Rissc (Research centre on security and crime) a fronte di numerosi episodi di razzismo registrati in Europa, i migranti – specialmente quelli con lavori più instabili –stiano invece “pagando il prezzo più caro per la pandemia, e rischiano ora e in futuro di essere tra i più esposti alla diffusione del virus”. “Altro che untori - spiega la ricercatrice - piuttosto doppiamente vittime”.

Una condizione questa che non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa (41,3 milioni i migranti pari all’8% della popolazione, concentrate per tre quarti in soli 5 paesi compresa l’Italia). Secondo Alessio D’Angelo della University of Nottingham la pandemia, “ha messo in luce tutte le criticità e le insufficienze del sistema europeo in materia di migrazioni economiche e diritti”. Provvedimenti come la chiusura dello spazio Shengen, il blocco dei voli e le restrizioni sui movimenti hanno avuto un fortissimo impatto sia su alcune economie che sugli stessi migranti coinvolti. Ma soprattutto c’è stata la “scoperta” di come oltre il 30% degli immigrati in età lavorativa sono classificabili come keyworker: insomma di come spesso dipendano proprio dall’immigrazione i servizi essenziali (sanità, assistenza, pulizie ecc.) per difendere gli “autoctoni” dalla pandemia.

Non solo, ma il quadro internazionale è inquietante anche quando si parla di “migranti climatici” – quasi 25 milioni attualmente nel mondo –e di come sia per loro molto più facile contrarre la malattia a causa degli spazi sovraffollati e delle condizioni igieniche in cui vivono, come spiega  Maria Marano dell’Associazione A sud. Marano ricorda anche come alcuni dei fenomeni che generano tali migrazioni (deforestazione, urbanizzazione selvaggia, allevamenti intensivi) siano gli stessi che hanno facilitato la diffusione di virus come questo.

Il rapporto si concentra poi su stranieri e carcere. Carolina Antonucci dell’Associazione Antigone ricorda che il calo medio delle presenze è stato del 12%,e del 10,2% per i detenuti stranieri. Riporta invece un’esperienza positiva il capitolo di Ilaria Valenzi del Centro studi Confronti, che si sofferma sulla libertà di culto durante la pandemia. Dove per la prima volta il governo italiano (Ministero dell’Interno), dopo quello con la chiesa cattolica, ha sottoscritto altri 13 diversi protocolli insieme ai rappresentanti di altrettante fedi per regolare i vari aspetti legati alle pratiche di religione. Un esperimento che ha avuto tra l’altro il merito di “prendere atto delle diversità religiose presenti nel Paese”. Infine, l’ultimo dei contributi è di Claudio Piccinini del Centro patronati, che racconta le difficoltà vissute da questi uffici nel gestire con efficienza le complesse domande per l’ultima regolarizzazione, un’area in cui sono spesso presenti “situazioni di ‘faccendariato’, improvvisazione, quando non di lucro e sfruttamento”. Sulle pratiche per l’immigrazione restano però in piedi numerose difficoltà, in particolare per l’acquisizione della cittadinanza: dopo che i decreti sicurezza del primo governo Conte hanno “irragionevolmente alzato l’asticella” dei requisiti per accedervi, infatti, oggi i tempi per completare l’istruttoria per la naturalizzazione non sono più 10, ma 14 anni di residenza in Italia, “gli ultimi 7 dei quali con un reddito costante difficile da mantenere anche per molti lavoratori italiani”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)