Covid19. Prassi improvvisate e difformi: ecco cosa è successo nei centri d’accoglienza

In anteprima su Redattore Sociale il primo report realizzato da Tavolo Asilo e Tavolo immigrazione e salute in 200 strutture. Mancano linee guida nazionali, solo il buonsenso ha evitato l’esplosione di focolai. Ora le organizzazioni chiedono indicazioni precise per non trovarsi di nuovo impreparate. Il ministero della Salute apre un Tavolo di coordinamento, ma senza di loro

Covid19. Prassi improvvisate e difformi: ecco cosa è successo nei centri d’accoglienza

Soluzioni fai da te e spesso improvvisate, anche in presenza di casi di coronavirus, nuovi ingressi bloccati, nessuna indicazione chiara dall’alto. E’ una fotografia in chiaroscuro quella che emerge dal primo monitoraggio in Italia sulla gestione dell’accoglienza durante l’emergenza coronavirus. Lo studio, che ha coinvolto circa  200 centri di accoglienza, è stato realizzato dalle organizzazioni che fanno parte del Tavolo Asilo Nazionale (TA) e del Tavolo Immigrazione e Salute (TIS) e che racchiudono insieme le maggiori realtà attive nella tutela dei diritti di migranti e rifugiati e nella promozione della salute e della cura (tra cui Caritas italiana, Arci, Medici senza frontiere, Intersos, Medu, Centro Astalli, Emergency). “All’insorgere dell’emergenza sanitaria ci si è trovati a fare fronte ad una serie di problematiche di gestione sanitaria e operativa delle strutture, degli ospiti e degli operatori, con la necessità di dare risposte tempestive di tipo informativo, formativo e sul piano organizzativo - spiegano nel documento che Redattore Sociale ha visionato in anteprima -. Sin dall’inizio dell’emergenza sono risultati evidenti i problemi di definizione delle misure di protezione per gli ospiti e del reperimento dei dispositivi di protezione individuale; la gestione di eventuali casi sospetti o positivi; così come l’ingresso in accoglienza delle persone alla luce del lockdown stabilito dai provvedimenti governativi.”

Il fai da te anche per la gestione dei casi positivi

Lo studio è stato realizzato attraverso un questionario a cui hanno risposto 195 enti gestori. Emerge una forte carenza (o totale assenza) di indicazioni e linee di indirizzo da parte degli organismi di riferimento. La maggior parte delle strutture si è trovata, dunque, a fare di necessità virtù anche nel caso di migranti risultati positivi al Covid19: nel 60% dei casi la “soluzione fai da te” ha prevalso. E così c’è chi ha messo a disposizione, all’interno della struttura, una stanza con bagno, chi ha trasferito la persona positiva in un appartamento o in un altro centro. Solo nel 28% dei casi i positivi sono stati trasferiti in una struttura dedicata e istituita da un ente pubblico: nel 37% dei casi attivata dalla ASL; nel 29% dei casi dal Comune, nel 27% dalla Regione e nel 6% dalla Prefettura.

Nuove accoglienze bloccate e prassi difformi sui territori 

Il report evidenzia come, in assenza di indicazioni chiare, gli enti gestori abbiano operato cercando innanzitutto di mettere in sicurezza il proprio personale e i migranti accolti. Questo ha inciso anche sullo stop dei nuovi ingressi in accoglienza. Circa un terzo degli interpellati (29%) ha detto di non aver fatto entrare nuove persone proprio perché  mancavano procedure sicure. A questa quota si aggiunge quella di chi ha dichiarato di non procedere a nuovi inserimenti (15%) per ragioni diverse dall’assenza di procedure (ovvero, per espressa indicazione dell’Ente locale /Prefettura). C’è poi chi ha adottato proprie procedure per effettuare gli inserimenti, diverse ed eterogenee sul territorio nazionale: il 24% ha chiesto il tampone o il test sierologico negativo; il 15% ha attivato 14 giorni di isolamento fiduciario in una struttura “ponte” d’'isolamento; il 13% ha richiesto, alle persone asintomatiche, di effettuare all’interno della propria struttura la quarantena di 14 giorni con sorveglianza attiva; nel 4% dei casi c’è stato uno screening sanitario per le persone asintomatiche che non erano state a contatto con casi positivi o sospetti. Disaggregando il dato per tipologia di centro nei Siproimi i gestori dichiarano con più sicurezza degli altri che i nuovi inserimenti sono sospesi. Anche i referenti delle strutture Cas (centri accoglienza straordinaria) confermano la sospensione dei nuovi ingressi. A non poter evitare nuove accoglienze sono, invece, le strutture per i senza dimora: nel 38% dei casi – la percentuale più alta– i nuovi ingressi  non sono stati sospesi. Più critica appare la situazione delle strutture per vittime di tratta dove la sospensione è quasi totale.

Assenza di coordinamento e linee guida

 In generale si riscontra, dunque, uno scarso coordinamento con il territorio e l’assenza di una  regia delle Istituzioni centrali, che si traducono nella carenza di monitoraggio e nella conseguente mancata adozione di linee guida e protocolli da seguire in emergenza e per la progressiva uscita dalla stessa. In particolare, nelle regioni più coinvolte dalla pandemia, come la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Piemonte, la gestione è stata molto critica. Difficile è, inoltre, il reperimento dei DPI. Le difficoltà strutturali e riorganizzative delle strutture hanno superato la media nazionale nel Lazio, che ha avvertito più delle altre regioni, il problema dell’assenza dei protocolli operativi per la gestione dei casi. 
A mancare è anche il coordinamento con le istituzioni sanitarie: un terzo del campione parla di problemi dovuti all’assenza di protocolli e linee guida. Una situazione che ha pesantemente inciso soprattutto nella fase iniziale dell’emergenza, quella in cui si aveva più bisogno di indicazioni. Non solo, ma su diversi territori le aziende sanitarie hanno assimilato le strutture Siproimi alle strutture residenziali anziani e Rsa, chiedendo alle strutture di uniformarsi alle linee guida dell'Istituto Superiore di Sanità sulle Rsa. Linee guida spesso risultate inapplicabili nello specifico, sia per la tipologia delle strutture  (appartamenti o centri di piccole dimensioni) sia per l'organizzazione dei progetti che non prevedono la presenza di figure di tipo sanitario (medici, infermieri, oss) né un'assistenza h24, come le Rsa.

Quali garanzie per la sicurezza nei centri di accoglienza? 

Tra gli aspetti indagati dallo studio anche quelli relativi alle caratteristiche strutturali e organizzative dei centri, per l’eventuale isolamento fiduciario. Solo la metà delle strutture dichiara di poter contare su spazi adeguati per isolare la persona con stanza e bagno dedicato (52%). Problematica, invece, è la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e la gestione della biancheria. Inoltre, garantire il rispetto delle misure igienico sanitarie e il distanziamento tra gli ospiti non risulta eccessivamente gravoso quando consiste nella messa a disposizione di prodotti per l’igiene (gel mani, fazzoletti) e di Dpi, mentre più problematica è la pulizia dei locali. Infine, il distanziamento sociale, per le caratteristiche strutturali dei centri, pone problemi soprattutto per l’uso condiviso di servizi igienici (il problema è critico nel 40% circa del campione); seguito dalla condivisione delle stanze fra ospiti (35%). Più gestibile risulta il rispetto delle misure di distanziamento sociale durante i pasti, garantito dal 72% del campione. Altra misura fondamentale per rendere efficace il distanziamento e proteggere dai rischi del contagio è l’informativa alle persone. Secondo il report l’ attività è stata svolta sia nei confronti degli ospiti che degli operatori in maniera pressoché assoluta (anzi, il questionario ha evidenziato un’attenzione persino maggiore nei confronti degli ospiti, per le differenze linguistico - culturali). Difficile però è stata anche la gestione delle problematiche relative alle paure, alle incertezze, alle differenze culturali, in particolare con le persone vulnerabili: gli  ospiti psichiatrici o con problematiche di dipendenza o i senza dimora. Per questi ultimi, in particolare, è stato difficile trovare soluzioni alternative per tenerli nelle strutture e far loro trascorrere la giornata al chiuso e così non era possibile avere contezza di che tipo di contatti avessero durante il giorno.

Cosa fare ora per evitare di trovarsi di nuovo impreparati?

Il report sul monitoraggio nei centri è stato inviato ai ministeri coinvolti nell’accoglienza e nella gestione dell’epidemia (Interno e Salute) e alla Protezione civile. Nel documento, infatti, i promotori delineano anche una serie di possibili soluzioni per evitare di trovarsi di nuovo impreparati nel caso di una seconda ondata di Coronavirus. “E’ mancata, in questi mesi, un'attenzione specifica delle istituzioni sulle strutture di accoglienza e la maggior parte degli enti gestori si è sentita isolata e disinformata - spiega Salvatore Geraci -. Tutti  si sono attivati con buonsenso, e hanno fatto del loro meglio, mettendo in campo soluzioni buone, ma avrebbero gradito una regia da parte del Viminale. La risposta non può essere quella delle  soluzioni fai da te”. Per questo, oggi il Tavolo Asilo e il Tavolo immigrazione e salute ritengono che sia necessario un progetto di prevenzione che preveda linee guida a valenza nazionale per superare l’effetto “macchia di leopardo”. Chiedono, in particolare, in questa fase di apertura delle accoglienze una pianificazione ragionata e condivisa dei percorsi da mettere in atto con un modello che possa rispondere alle varie esigenze; di istituire di Gruppo di lavoro tecnico per la definizione di puntuali procedure e indicazioni per la prevenzione ed eventuale gestione sanitaria e sorveglianza epidemiologica specifica per le strutture d’accoglienza sociale, dandone mandato all’ISS e  di prevedere organismi, tavoli, commissioni funzionali e temporanei che possano governare il processo di adozione di quanto stabilito dal punto di vista tecnico.

“Dopo l’invio del dossier la Protezione civile ci ha subito convocato - aggiunge Geraci - abbiamo ragionato su come migliorare la prevenzione nelle strutture, che non accolgono solo i migranti ma anche i senza dimora e le vittime di tratta. Col ministero dell’Interno e l’Anci abbiamo fatto un discorso sulla riorganizzazione dei centri e sulla possibilità di strutture ponte per l’isolamente fiduciario. Infine, al ministero della Salute abbiamo chiesto di attivare un tavolo di coordinamento, al quale vogliamo partecipare, perché siamo realtà che operano sul campo”. La richiesta era stata avanzata alla sottosegretaria Sandra Zampa, anche durante il festival Sabir. Il ministero in queste settimane si è effettivamente attivato, ma le organizzazioni per ora sono state lasciate fuori dal tavolo. “Ci hanno detto che se ne occuperà l’Inmp (Istituto nazionale salute, migrazioni e povertà, ndr) - conclude Geraci -. Noi riconosciamo l’importanza dell’istituto ma vogliamo far parte di questo processo, pensiamo che si possa prevenire solo in un’ottica di sistema che tenga dentro chi lavora nel settore. Inoltre, la nostra richiesta è quella di fare presto, questo sia per sbloccare in sicurezza l’accoglienza dei nuovi ospiti, sia per prepararci adeguatamente nel caso di un’ eventuale recrudescenza dell’infezione”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)