Crisi di governo, “dopo il Covid la politica torna nella sua bolla linguistica”

Dino Amenduni, comunicatore politico dell’agenzia Proforma e responsabile del laboratorio di comunicazione politica ed elettorale dell’Università di Perugia, analizza le parole utilizzate nell’attuale crisi di governo e il linguaggio in tempo di pandemia. “Informazioni contraddittorie, anglismi e tanta confusione”

Crisi di governo, “dopo il Covid la politica torna nella sua bolla linguistica”

“Il linguaggio usato dai politici in questa crisi di governo è un linguaggio sospeso: si parla di responsabili, di costruttori, come se la politica si fosse rinchiusa nella sua bolla linguistica e l’emergenza Covid non fosse mai avvenuta”. Dino Amenduni, comunicatore politico dell’agenzia Proforma e responsabile del laboratorio di comunicazione politica ed elettorale dell’Università di Perugia, analizza così le parole utilizzate nell’attuale crisi di governo, dopo che Matteo Renzi e il suo partito, Italia Viva, hanno smesso di sostenere l’esecutivo. Ora il primo ministro Giuseppe Conte, aiutato dal Movimento 5 Stelle e dal Partito Democratico, sta cercando di convincere almeno una decina di senatori che attualmente sono all’opposizione a entrare nella maggioranza, per tenere in piedi il governo.

Il discorso politico è simile a quello del Monti del 2011, o addirittura a quello della prima Repubblica: è come se il virus non esistesse dal punto di vista linguistico. E mentre Scilipoti era diventato un simbolo al punto da diventare quasi un neologismo della lingua italiana, o Mastella era l’emblema del trasformismo, oggi guardiamo ai cosiddetti ‘responsabili’ con una certa tolleranza. Molti alzano le spalle: l’Italia è fatta così, ci siamo abituati. Tre italiani su quattro non vogliono andare a votare, dunque qualsiasi cosa, pur di non andare alle elezioni”.

Anche gli slogan urlati e i toni violenti del populismo sono sul viale del tramonto. “Questo non dipende solo dall’epoca storica che stiamo attraversando, ma anche dai protagonisti di questa crisi – continua Amenduni –. Conte ha sempre avuto un linguaggio di tipo istituzionale, e anche Renzi, anche se usa una comunicazione aggressiva, comunque non è Salvini né Meloni. I toni sono certamente diversi rispetto all’epoca del Papeete”.

E guardando oltre al recinto della politica, la pandemia soprattutto nella prima fase ha portato un mutamento nel linguaggio, con un grande aumento di informazioni su un argomento complesso, che ancora era poco conosciuto. “Inizialmente anche gli esperti non avevano le idee chiare: lo stesso giorno i cittadini potevano leggere dichiarazioni anche opposte, provenienti da persone ugualmente qualificate sull’argomento. Si tratta del fenomeno dell’infodemia: davanti a informazioni contraddittorie, io allora rimango della mia posizione e mi radico nei miei preconcetti”.

Oltre alla confusione sui contenuti, c’è stata anche la difficoltà da parte degli esperti di diventare divulgatori e parlare a tutti: “Molti virologi, ricercatori e medici della terapia intensiva non erano abituati a parlare in pubblico, e così inizialmente hanno usato un linguaggio molto tecnico, non avendo il tempo di riflettere su come rivolgersi a un pubblico più ampio – spiega Amenduni –. È così che abbiamo assistito anche all’uso spropositato di anglismi: lockdown, droplet… Questo ha portato ulteriore confusione in una popolazione già spaventata, senza punti di riferimento”.

Infine, il ruolo dei media continua a essere centrale, afferma Amenduni: “Purtroppo i nostri organi di stampa tendono al sensazionalismo, e questo genera un senso di instabilità molto forte – conclude –. Per attrarre click, nei titoli vengono pompate notizie che in realtà notizie non sono. Nelle ultime settimane ho letto diversi articoli in cui si raccontava di medici che, dopo aver fatto il vaccino anti-Covid, poi sono risultati positivi. Continuando a leggere, poi, l’articolo diceva che il medico era già positivo precedentemente, e che comunque non ci sono prove che ci sia una correlazione tra vaccino e contagio. Il punto è che tutte le informazioni sul virus, come quelle sui rischi e sugli effetti collaterali del vaccino, andrebbero date a bocce ferme, non isolando singoli casi e prendendoli come esempio: questo crea paura nelle persone già spaventate e mette dubbi a chi ha delle certezze. I media hanno un grande peso oggi, per la riuscita di questa campagna vaccinale: ecco perché devono sentire la responsabilità di pesare con attenzione il proprio contributo”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)