Da una noia “mal gestita” può nascere la spinta irrefrenabile verso le dipendenze

La noia giovanile è un tema che varrebbe la pena approfondire nei contesti educativi, bisognerebbe analizzarla e riuscire a collocarla in una dimensione costruttiva.

Da una noia “mal gestita” può nascere la spinta irrefrenabile verso le dipendenze

Quasi il 90% degli adolescenti dichiara di annoiarsi in casa se non ha la possibilità di utilizzare lo smartphone. Il dato è stato diffuso nei giorni passati nel corso della VI Giornata nazionale sulle dipendenze tecnologiche e sul cyberbullismo, dedicata a “Bambini e adolescenti digitali. Il corpo e la mente tra iperconnessioni e realtà mediata” e organizzata a Napoli dall’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo (Di.Te) in collaborazione con la Società italiana di pediatria condivisa (Sipec).

In realtà, in occasione dell’evento sono stati pubblicati anche altri numeri piuttosto inquietanti riguardo l’utilizzo dei device e delle tecnologie da parte dei giovani, tra cui alcune rilevazioni riferite alla primissima infanzia. La connessione tra noia e utilizzo degli smartphone, però, in un certo senso è l’aspetto più paradigmatico della ricerca, perché evidenzia nodi che spesso non sono adeguatamente messi in luce dalle statistiche incentrate più che altro sull’ampiezza del fenomeno.

Si tende a confondere “il sintomo” con la sua “origine”. L’utilizzo delle tecnologie è ormai il carattere distintivo della società in cui viviamo, che ci piaccia oppure no, ma l’abuso che i dati denunciano relativamente alle giovani generazioni è “sintomatico” di una mancata formazione all’uso della rete, di una disperante solitudine che invade quotidianamente i nostri spazi domestici, il cui assordante silenzio siamo portati a coprire con il volume dei nostri dispositivi (smart-tv compresa), e di un vuoto educativo ed emotivo che nel corso delle generazioni diviene sempre più sconcertante.

La noia giovanile è un tema che varrebbe la pena approfondire nei contesti educativi, bisognerebbe analizzarla e riuscire a collocarla in una dimensione costruttiva. Essa può essere legata all’aver smarrito il senso della vita, un “guasto” che non riguarda – ahimè – soltanto le recenti generazioni. Proprio da una noia “mal gestita” può nascere la spinta irrefrenabile verso le dipendenze (non solo quelle tecnologiche), gli eccessi e quel divertimento effimero che appena terminato fa ripiombare appunto nella medesima noia. A ben guardare, dietro alla percezione del tedio c’è quel senso di “vuoto” che riguarda tutti gli esseri umani e con il quale prima o poi occorre imparare a fare i conti. Invece, l’atteggiamento prevalente di giovani e giovanissimi, ma purtroppo anche degli adulti educatori, è quello che porta alla “rimozione” di tale vuoto.

Oltre all’illusorio tentativo di colmare il “vuoto” esistenziale, attraverso le tecnologie si alimenta anche la falsa convinzione di esercitare una certa libertà, che non conosce limiti ed è guidata da esigenze espressive personali. Anche qui l’equivoco è macroscopico e determinato da una “fallacia” educativa che riguarda proprio il concetto di libertà individuale. Il web in questa prospettiva appare un campo di esperienza irrinunciabile e potente, ma spesso si trasforma in una sorta di trappola manipolativa e dispensatrice di pseudo-realtà.

Gli psicoterapeuti nei rapporti che riguardano i loro giovani pazienti, parlano di case trasformate in “luoghi di sosta”, dove ogni componente ha un suo spazio di alienazione tecnologica più o meno prevalente (a volte financo necessaria, si pensi allo smartworking), dove ci si scambia esclusivamente informazioni indispensabili, dove emozioni e sentimenti non trovano sempre spazio di condivisione. Nella sostanza luoghi dove gradualmente si viene a creare una sorta di deserto emozionale. “Ad accrescere il deserto emozionale, così intrecciato alla noia, si aggiunge il fatto che i valori dominanti della società di oggi sono incentrati sul successo, sulla negazione del dolore”, scrive lo psichiatra Eugenio Borgna nel suo saggio “Il tempo e la vita” (Feltrinelli, 2015).

È proprio nelle nostre case, quindi, apparentemente rassicuranti e protette che si annida la predisposizione alla dipendenza e al malessere. Un malessere che dalla mente passa poi al corpo determinando sintomi a volte incomprensibili e prodromici di patologie che rischiano di diventare irreversibili.

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Fonte: Sir