Dal lavoro ai migranti, ecco il manifesto in sei punti degli Stati Popolari

Lanciato da Aboubakar Soumahoro dopo la manifestazione di piazza San Giovanni a Roma, prevede un piano per lavoro e casa, l’abolizione dei decreti sicurezza e della legge Bossi-Fini, oltre a una revisione della filiera del cibo e attenzione all’ambiente. “Se la politica non ci ascolta, andremo avanti da soli”

Dal lavoro ai migranti, ecco il manifesto in sei punti degli Stati Popolari

Lavoro, casa, filiera alimentare, ambiente, disuguaglianze, immigrazione: sono questi i sei punti del manifesto programmatico degli Stati popolari, lanciato ieri da Aboubakar Soumahoro, in piazza San Giovanni a Roma. Un manifesto nato dalla “piazza, non della protesta ma della proposta”, spiega il sindacalista Usb. Che aggiunge: “Se la politica non darà articolazione a queste proposte, faremo da soli. Abbiamo la responsabilità di camminare insieme per realizzarle, perché possiamo, perché dobbiamo”. 

Le sei proposte del Manifesto 

Nello specifico, al primo punto si c'è un piano nazionale per l’emergenza lavoro: un problema già presente nel paese prima della pandemia di coronavirus, e che negli ultimi mesi è gravemente peggiorato. Si parla poi di un piano di edilizia popolare per far fronte all’emergenza abitativa. Al terzo punto si chiede una riforma della filiera alimentare: “perché vogliamo mangiare sano ma vogliamo conoscere anche quanto sono pagati gli agricoltori, i braccianti, i rider, le cassiere del supermercato: altrimenti parliamo di un cibo non sano, ma marcio - spiega Soumahoro -. E noi non vogliamo più mangiare cibo marcio”. Un altro punto programmatico riguarda il tema migratorio ed è articolato su varie proposte. Si chiede di abolire i decreti Salvini, o meglio, i “decreti insicurezza, che hanno creato solo illegalità” e per i quali “non basta un’operazione di maquillage”, e la legge Bossi-Fini. Sono leggi che “soffocano”, mentre serve una rottura contro “la politica di razializzazione”. Contestualmente la proposta è anche di riformare la legge sulla cittadinanza, sia per i nati che per i cresciuti in Italia; una riforma della politica dell’accoglienza e l'istituzione di un ente pubblico per dare risposte agli italiani all’estero, “che sono stati costretti a fare le valigie”.  Si chiede poi il rilascio di un “permesso di soggiorno per emergenza sanitaria” convertibile in permesso di lavoro: una considerazione che nasce dalla “regolarizzazione flop, in corso”. Al quinto punto si parla di una riforma di giustizia ambientale e infine di mettere in atto politiche per rimuovere gli ostacoli alle disuguaglianze

“Gli Stati popolari servono ad affermare una politica alta e altra, qui ci sono i dolori delle donne e degli uomini che la politica ha reso invisibili e a cui vogliamo dare possibilità di essere visibili - spiega il sindacalista -. Quindi vogliamo confrontarci in uno spirito costruttivo, che parte da questa piazza. Vogliamo essere protagonisti del percorso di ricostruzione del paese. Se non ci sarà da parte del governo la possibilità di realizzare questo percorso siamo pronti a camminare per costruire la nostra felicità insieme. Gli Stati Popolari saranno una palestra del pensiero altro, una palestra dove si costruisce la giustizia sociale, in un cammino che viaggia tra pensiero e azione”. Rispondendo alle domande dei giornalisti, che gli chiedevano se Gli Stati popolari si tradurranno in un movimento politico, Soumahoro ha detto: la politica finora ha trasformato la società in un serbatoio elettorale, dove si prendono i voti e poi si aspettano nuove scadenze. Noi vogliamo vivere il presente e vogliamo soprattutto costruire il futuro per i nostri figli”. 

Le voci degli “invisibili” in piazza

Per tutto il giorno, in una piazza assolata, ma partecipata nonostante il caldo, sul palco hanno preso la parola i cosiddetti “invisibili”: braccianti, rider, lavoratori dello spettacolo, cassintegrati, senza casa, migranti e italiani senza cittadinanza. I braccianti del foggiano sono arrivati portando casse di ortaggi: peperoni, cetrioli, insalata. “Queste verdure siamo noi che le lavoriamo - dice Sadia Sissoko - Io sono il bracciante del foggiano, io sono il bracciante d’Italia. Siamo noi a portare il cibo nelle vostre tavole, ma nelle campagne mancano i diritti. Abbiamo chiesto una vera regolarizzazione, vogliamo i documenti, vogliamo la nostra libertà”. A rappresentare, invece, i cosiddetti “braccianti metropolitani” è Tommaso Falchi del sindacato autorganizzato per i diritti dei rider: “Siamo stati costretti a lavorare per tutto il periodo della pandemia, perché le misure previste dal governo non hanno  riguardato noi - sottolinea -, ci hanno definito eroi ma i contratti con cui lavoriamo sono lavoro nero regolarizzato. Bisogna parlare oggi di diritti, reddito, dignità”. Tra le voci anche quelle dei lavoratori dei call center, in particolare donne, che hanno subito maggiormente le conseguenze dell’epidemia. E dei lavoratori dello spettacolo, un settore in cui “riprenderanno a lavorare in pochi”.

Infine a chiudere la manifestazione sono stati invitati i rappresentanti di Black lives matter Roma e di Italiani senza cittadinanza. “Siamo oltre un milione di ragazzi e ragazze, bambini e bambine, che ancora oggi non vedono riconosciuta la propria identità- ha detto Jovana Kuzman del movimento -. Siamo prigionieri dell’attuale legge 91 del 92. Dopo 20 anni dobbiamo chiedere ancora il permesso per rimanere nel paese che consideriamo casa. Senza cittadinanza non si esiste. Come movimento chiediamo di abrogare i decreti sicurezza, a cominciare dalla parte sulla cittadinanza. E’ una vergogna che per il primo decreto sicurezza dobbiamo aspettare altri 4 anni per le sole pratiche di cittadinanza o essere cittadini di serie b perché la nostra cittadinanza è diventata revocabile. Le pratiche devono durare al massimo un anno come negli altri paesi - aggiunge - Chiediamo il diritto di respirare: la cittadinanza va anticipata per chi nasce in Italia e riconosciuta per chi cresce. Inoltre, non vogliamo più essere ridotti al nostro reddito, che serve per ottenere la cittadinanza: un buon reddito è un miraggio per tutti i giovani. Noi siamo arrivati qui a tre mesi di vita, a due e cinque anni, per lavorare, ma siamo stati portati qui o fatti nascere qui dai nostri genitori”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)