Damasco: la rivoluzione silenziosa delle donne in bicicletta

Le due ruote possono servire per combattere incredibili battaglie, avviare processi democratici, smontare l’ordine tradizionale delle cose, contribuire a rendere l’aria più respirabile. E se si è donna, in bici, per le strade siriane si testimonia una reale volontà di cambiamento

Damasco: la rivoluzione silenziosa delle donne in bicicletta

Maen Al-Hemmeh ha iniziato a usare la bicicletta nel 2013 per andare a lavorare tutti i giorni, in università, dove insegnava alla facoltà di economia: la guerra ha fatto salire alle stelle i prezzi della benzina, i check point in città congestionavano il traffico e la bici per Maen si è rivelato un mezzo efficace per ovviare alle difficoltà. Nello stesso periodo anche Sarah Al-Zein, ha inforcato una bicicletta per andare a studiare all’università. Ma la prima volta per lei non è stata una esperienza semplice né piacevole, oltre che per il traffico e le strade malridotte dalla guerra, anche per l’indignazione espressa dai passanti e le volgarità che si è sentita urlare dietro. Perché è molto sconveniente nel loro Paese che una donna vada in bicicletta.

Potenza rivoluzionaria. Maen e Sarah hanno deciso di usare la bici proprio nel 2013 perché in quell’anno sono entrate in vigore in Siria nuove leggi sulla circolazione dei mezzi a due ruote (che tra l’altro implicano la necessità di essere in possesso di un permesso di circolazione per i ciclisti). E avendo capito la potenza rivoluzionaria della loro scelta, hanno deciso di fondare insieme una associazione, Yalla Let’s Bike (forza, andiamo in bici) e di invitare altre persone a usare quel mezzo di locomozione. A raccontare al Sir questa esperienza è Mohammad Al-Kawatli, 23 anni, nato e cresciuto a Damasco, in Siria, attualmente studente di relazioni internazionali presso l’Università americana a Roma. Di anni ne dimostra molti di più per il suo modo pacato ma risoluto di spiegare le cose e per il curriculum già ricco di esperienze di studio e volontariato. Dell’associazione, che si è subito data anche una struttura e un “consiglio di amministrazione” composto di giovani, lui è “project manager e consulente a distanza”, precisa.  “Il numero di persone che hanno iniziato a usare la bicicletta è cresciuto in modo esponenziale: prima del 2013 non si andava in bici anche perché la percezione sociale la considerava una cosa non prestigiosa e per le ragazze la credenza diffusa era che perdessero la verginità andando in bici”.

I venditori fanno affari. In cinque anni a far parte dell’associazione sono entrati oltre 200 volontari, oltre 35mila sono i fans e 10mila sono le bici che oggi girano a Damasco. “I venditori di bici hanno verificato una crescita del 60% nella vendita delle due ruote, il 50% degli acquirenti sono giovani studentesse, cosa che non era mai avvenuta”. Yalla Let’s Bike organizza eventi sociali, biciclettate in giro per la città, presentazioni, workshops e incontri per sensibilizzare sul tema delle pari opportunità e incoraggiare, motivare le persone al cambiamento:  “Andare in bici costruisce la democrazia, soprattutto se parliamo della Siria e in particolare delle donne. Siamo riusciti a fare in modo che il 30% dei responsabili dell’iniziativa siano donne e questo costruisce autostima, crea coinvolgimento di altre donne e le rafforza perché diventino decision makers nella società. Nel futuro questo avrà un effetto anche sulla società, rendendola più consapevole sulle diversità di genere, sui diritti delle donne”. La legge siriana “ha già riconosciuto il diritto di voto alle donne e la possibilità che partecipino alla vita politica, ma le donne siriane mostrano ancora un alto livello di adeguamento alle regole sociali tradizionali. Quindi non è un problema di leggi, ma di società. La nostra iniziativa mostra che i cambiamenti possono avvenire a partire dal basso”.

Numeri significativi. I numeri del coinvolgimento di Yalla Let’s Bike sono significativi: la prima biciclettata organizzata nel 2014 ha avuto 800 partecipanti; l’anno successivo erano 1.270 e alla terza 4mila. “Siamo anche riusciti ad ottenere la costruzione di piste ciclabili e di parcheggi per le bici, oltre che la restituzione di bici confiscate nel 2015 per motivi di sicurezza”, racconta ancora Mohammad. L’esperienza di Yalla Let’s Bike ha anche varcato i confini della Siria ed è stata presentata al recente Forum mondiale della democrazia a Strasburgo e alla Cop24 a Katowice è stato riconosciuto anche il significato ambientale dell’iniziativa con il premio “Momentum for change” nella categoria “Donne per il cambiamento”. Tutto questo nel tempo della guerra che ora “sta cominciando a rallentare, grazie a Dio; la sicurezza è ancora un problema a Damasco, ma questo non ci ferma: vogliamo cercare di trovare il meglio anche in questa situazione. La guerra genera inevitabilmente dei cambiamenti e allora vogliamo che siano quelli giusti. Ad esempio promuovendo consapevolezza rispetto al tema della parità di genere”.

“Voglio tornare nel mio Paese”. Del resto la guerra ha lasciato un’alta percentuale di donne in Siria: gli uomini hanno dovuto lasciare il Paese per evitare di finire sotto le armi e quindi “cerchiamo di dare potere alle donne, perché di fatto ora ce l’hanno loro, perché rappresentano la maggioranza della popolazione”. Ora Mohammad Al-Kawatli è a Damasco dalla famiglia, l’università è chiusa per le vacanze di Natale. Ma è a Damasco che lui vuole tornare una volta finiti gli studi: “Ho una voglia matta di aiutare il mio Paese, il popolo che amo. Ho visto così tante persone che amo confrontate con la violenza e l’abuso sessuale, la violazione dei loro diritti, come se i diritti delle donne non fossero diritti umani, che dopo la fine degli studi voglio lavorare per cercare di aiutare il mio Paese”.

Sarah Numico

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Fonte: Sir