Difendere il buon lavoro agricolo. Incidenti, malattie professionali e caporalato devono essere contrastati
Il valore agricolo va valorizzato per il suo prezioso contributo alla produzione, ma va anche difeso fortemente, curato con grande attenzione, fatto crescere in consapevolezza e in sicurezza
In Italia, tra gennaio e luglio di quest’anno, gli infortuni sul lavoro in agricoltura sono cresciuti. Nello stesso periodo di tempo, le cronache hanno restituito una serie di episodi, da nord a sud della penisola, legati al caporalato nei campi. E’ fatto anche di questo il buon agroalimentare nazionale. Diciamolo subito: è sbagliato però generalizzare, si dice il falso affermando che la produzione agricola nazionale fa le sue fortune anche a suon di lavoro nero e non osservanza delle più elementari norme di sicurezza. Gli incidenti sul lavoro nei campi, tuttavia, esistono. Così come esistono il caporalato e le varie forme di sfruttamento di lavoro nei campi. E’ importante, quindi, mettere a fuoco anche questi aspetti della produzione agricola e agroalimentare.
Lavoro nei campi, dunque. Stando ai più recenti dati statistici (di fonte Inps e Eban, l’ente bilaterale per il lavoro agricolo), i lavoratori ufficiali in agricoltura sono qualcosa di più di un milione, di questi, 900mila circa sono i cosiddetti “stagionali”: si tratta delle persone che vengono assunte a tempo determinato, quando ci sono grandi lavori da fare (soprattutto le raccolte di prodotti freschi che vanno a maturazione in breve tempo e che devono essere rapidamente immessi sul mercato). Accanto a questi lavoratori, c’è la massa di persone che finiscono nei campi a lavorare attraverso canali diversi da quelli legali e ordinari. Nell’una e nell’altra parte, la presenza di lavoratori stranieri è ingente: molti sono regolarmente presenti in Italia, molti no. Si tratta di una situazione generalizzata: non è vero che i lavoratori agricoli regolari siano solo al nord, così come non è vero che al nord non vi sia caporalato.
E’ partendo da questo lavoro – regolare oppure irregolare – che si deve ragionare sul rischio in agricoltura e, quindi, sugli incidenti (anche mortali) che accadono. Stando agli ultimi dati Inail, nei primi sette mesi del 2024 le denunce di incidenti in agricoltura sono crescite (+0,3%), aumentati anche i casi mortali, passati da 59 a 71, mentre le denunce di malattie professionali hanno mostrato per il settore agricolo un incremento del 21,1%, passando da 7.365 a 8.921. In altre parole, in agricoltura così come in tutti gli altri settori, si può anche morire lavorando, schiacciati da un trattore oppure presi da una macchina di raccolta; e ci si può anche ammalare a causa del lavoro che si svolge, magari inalando per lungo tempo sostanze destinate alla cura delle piante. Vale anche per i campi e le stalle quell’attenzione e quella formazione alla sicurezza sulla quale non si insiste mai abbastanza.
I numeri sono comunque importanti, e devono far pensare. Anche perché accanto agli episodi denunciati ci sono quelli che passano sotto silenzio. E anche quelli che dovrebbero rimanere nascosti ma che poi, per le circostanze della vita, esplodono in tutta la loro gravità. Circostanze che vanno di pari passo con le varie di forme di assunzione non regolare, con il numero eccessivo di ore di lavoro per giornata, con l’improvvisazione che spesso è l’anticamera del maggior rischio. Circostanze che, occorre dirlo, non colpiscono solo i “dipendenti” ma spesso anche gli imprenditori agricoli. Episodi e condizioni che, lo riportiamo, non sono la sostanza dell’agricoltura italiana pur facendone comunque parte.
Vale così ancora una volta e ancora di più una sola indicazione: il valore agricolo va valorizzato per il suo prezioso contributo alla produzione, ma va anche difeso fortemente, curato con grande attenzione, fatto crescere in consapevolezza e in sicurezza. E’ anche da questi aspetti che passa la difesa e la valorizzazione del buon agroalimentare italiano.