Egitto, “la repressione ci insegue fuori dai confini del paese”

Il professore Bahey Eldin Hassan è il padre del movimento egiziano per i diritti umani e fondatore del "Cairo institute for human rights studies": oggi è in esilio in Francia dopo aver ricevuto minacce di morte. “Quello che resta è il rischio per la vita dei familiari e degli amici rimasti là. È ciò che potrebbe succedere a Zaki se venisse rilasciato e decidesse di tornare in Italia”

Egitto, “la repressione ci insegue fuori dai confini del paese”

“La cosa più importante oggi è che Patrick venga rilasciato e che gli venga dato il diritto di viaggiare. Ma anche nel caso in cui venisse liberato, non sappiamo cosa potrebbe accadergli: potrebbe essere arrestato con nuove accuse, o venire minacciato e spinto ad andarsene all’estero. In Egitto non esiste uno stato di diritto, sono le forze di sicurezza a dettare legge: spesso le decisioni del regime sono totalmente arbitrarie, è difficile trovare una logica”. A parlare è Bahey Eldin Hassan, uno degli esponenti di maggior spicco del movimento per la difesa dei diritti umani in Egitto. Giornalista, professore ed esperto di trasformazioni democratiche nella regione araba, nel 1993 è stato tra i fondatori del Cairo institute for human rights studies, di cui oggi è direttore.

Non abbiamo idea di quanti siano al momento i prigionieri politici in Egitto: il regime è molto attento a non far trapelare un certo tipo di informazioni – spiega –. Addirittura il presidente Al Sisi, in un'intervista rilasciata a un’emittente degli Stati Uniti, ha affermato che non esistono prigionieri politici nel paese. In realtà, sappiamo che il numero è di molte decine di migliaia: la cifra che spesso viene citata è di 60 mila persone, ma questo dato risale ormai al 2014”. Tra loro oggi figura anche Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna arrestato lo scorso 7 febbraio con l’accusa di terrorismo e sovversione. Patrick si trova oggi in carcere da più di sei mesi, anche se ancora non ha avuto diritto a un giusto processo.

“Se Patrick venisse rilasciato, gli scenari che si aprirebbero sarebbero diversi – afferma Hassan –. In alcuni casi i prigionieri politici vengono liberati e poi immediatamente arrestati di nuovo con accuse diverse, a volte anche prima che abbia luogo il rilascio effettivo. In altri casi, tornano in prigione alcune settimane o mesi dopo. Molti, dopo il loro rilascio, devono comunque presentarsi quotidianamente in questura con l’obbligo di presenza, o devono trascorrere la nottata nella stazione di polizia. In tanti ricevono pressioni, o minacce di morte, affinché lascino il paese, anche se anche il fatto di viaggiare non è scontato: ci sono dozzine di difensori dei diritti umani a cui invece è stato vietato di lasciare il paese, per metterli a tacere e far sì che non raccontino quello che sta accadendo in Egitto”.

È così che le intimidazioni ricevute o il rischio di una nuova reclusione portano molti a scegliere di abbandonare l’Egitto e rifugiarsi all’estero. È quello che è successo anche a Bahey Eldin Hassan, che nel 2014 ha ricevuto minacce di morte ed è stato costretto a lasciare il suo paese: al momento vive in Francia, in esilio volontario.

“La sorveglianza continua anche dopo che te ne sei andato, e spesso le ripercussioni ricadono sui familiari e gli amici rimasti nel paese – conclude Hassan –. Una storia emblematica è quella di Mohamed Soltan, attivista egiziano-americano rilasciato nel maggio 2015 grazie alle pressioni dell'amministrazione Obama. Successivamente, Soltan ha fatto causa negli Stati Uniti ai funzionari egiziani che lo avevano torturato in carcere, e subito il governo egiziano ha arrestato cinque dei suoi cugini, tra 20 e 24 anni. E poi c’è la vicenda di Ola al-Qardawi e di suo marito Hossam Khallaf, che sono stati in prigione per molti anni solo perché il padre era un importante teorico dei Fratelli Musulmani. La lista, ahimè, potrebbe diventare lunghissima”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)