Focus sul Congo all'agenzia "Dire": un popolo "tradito", tra minerali causa di conflitto e donne violentate. In corso "saccheggio neocolonialista"

"Far luce sull'impunità e sul silenzio", a dieci anni dal "Rapport Mapping", un documento che rivelò testimonianze e prove dei crimini di guerra commessi nella Repubblica democratica del Congo secondo dinamiche ancora oggi non superate: è l'impegno al centro dell’incontro ospitato martedì dall'agenzia Dire e promosso dalla rivista Nigrizia con la comunità congolese in Italia.

Focus sul Congo all'agenzia "Dire": un popolo "tradito", tra minerali causa di conflitto e donne violentate. In corso "saccheggio neocolonialista"

"Il 'Rapporto Mapping' fu pubblicato dall'Onu il primo ottobre 2010" ricorda John Mpaliza, attivista per i diritti umani e la pace, uno degli animatori dell'iniziativa: "Metteva in luce con evidenze, dati e testimonianze i gravi crimini di guerra che tra il 1993 e il 2003 avevano causato nella Repubblica democratica del Congo la morte di oltre sei milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati, spesso vittime di torture, stupri e detenzioni arbitrarie".

Secondo padre Filippo Ivardi Ganapini, direttore di Nigrizia, pubblicazione storica dei comboniani, l'incontro prende spunto dagli appelli rivolti alla comunità internazionale da Denis Mukwege, medico Premio Nobel per la pace, con l'obiettivo di spingere a prese di responsabilità anche rispetto al futuro.

"Vogliamo metterci insieme per tentare di far luce sull'impunità e sul silenzio che hanno accompagnato un documento così dettagliato, scomodo e pieno di prove - sottolinea il missionario - e cercare di capire, grazie all'aiuto di esperti e testimoni, quali sono le possibili azioni da intraprendere per cambiare il corso di una storia segnata da troppe violenze e ingiustizie".

Presenti all’incontro nella sede dell’agenzia Dire Lia Quartapelle, deputata membro della Commissione esteri della Camera, Michela Montevecchi, senatrice componente della Commissione diritti umani, e Brigitte Kabu, attivista per i diritti umani. Ha introdotto Nico Perrone, direttore della Dire, e ha moderato il giornalista Vincenzo Giardina.

Tra le testimonianze quella di monsignor Sebastien Muyengo, vescovo di Uvira, diocesi dell'est del Congo.

"L'impegno profuso dall'Italia fino a oggi nel sostenere la popolazione civile e la pace in Repubblica Democratica del Congo ci devono spingere a monitorare ancora di più la situazione e a fare pressione per l'istituzione di un tribunale penale internazionale per i crimini di guerra". Lo ha detto Michela Montevecchi, senatrice componente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.

La senatrice del Movimento 5 stelle ha riportato le parole del ministro degli Affari esteri e della cooperazione, Luigi di Maio, sollecitato più volte sulla situazione nel Paese africano dalla Commissione. "Di Maio - ha detto Montevecchi -   ha manifestato il sostegno dell'Italia alla popolazione civile vittima di violenza nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo e il suo sostengo al presidente Fe'lix Tshisekedi nel processo di pacificazione, stabilizzazione e ammodernamento della situazione dei diritti umani nel Paese".

Un regolamento per la tracciabilità dei "minerali di conflitto" da parte del Parlamento europeo e un impegno contro lo stupro come arma di guerra, testimoniato dal premio Nobel per la pace conferito al dottore Denis Mukwege nel 2018 e dall'istituzione di un inviato speciale delle Nazioni Unite sul tema: sono questi, secondo Lia Quartapelle, deputata membro della Commissione esteri della Camera, alcuni dei risultati ottenuti dal Rapporto Mapping pubblicato dall'Onu il primo ottobre 2010 per documentare crimini di guerra e contro l'umanità nella Repubblica democratica del Congo.

La deputata, del Partito Democratico (Pd), è intervenuta a un incontro sul tema promosso dalla comunita' congolese in Italia e dalla rivista comboniana Nigrizia.

Quartapelle ha evidenziato che l'Italia si è dotata di "un piano nazionale di azione sulla condizione delle donne nei conflitti anche grazie al lavoro di advocacy fatto a partire dalla situazione in Congo".

Il riferimento è al Piano di azione nazionale dell'Italia 'Donne, pace e sicurezza', adottato in attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325 per la prima volta nel 2010 e poi rinnovato altre due volte.

"Sappiamo tutti che la donna contribuisce in modo unico alla realizzazione del bene comune, ma se questa è violentata, vittima di tratta e schiavitù, se la sua dignità è ferita, cosa le rimane?". Così Brigitte Kabu, attivista per i diritti umani.

Kabu ha denunciato: "Voglio riportare quello che tutte le donne del Congo, soprattutto quelle vittime di abusi, stanno dicendo: 'Siamo violentate, vogliamo i fatti'". Secondo l'attivista, "quando si colpisce una donna si destabilizza un'intera famiglia e poi tutto il Paese ne subisce le conseguenze".

La violenza sessuale usata come arma di guerra è una delle caratteristiche principali del conflitto che ha colpito la Repubblica Democratica del Congo fra il 1993 e il 2003 documentate nel Rapporto Mapping. Il documento delle Nazioni Unite è stato pubblicato il primo ottobre del 2010. Violenze e conflitti sono continuati negli ultimi dieci anni, in particolare nelle province orientali di Sud e Nord Kivu, di Ituri e di Maniema. Secondo un nuovo rapporto diffuso dall'Onu a giugno, nel 2019 i casi documentati di violenza sessuale collegati ai conflitti in Congo sono stati 1.409, circa il 34 per cento in più rispetto all'anno precedente.

"Pensavamo che essere vittime sarebbe bastato ad avere giustizia ma non è stato così. Dobbiamo svegliarci e pretendere l'istituzione di un tribunale penale internazionale come quelli già creati per il Ruanda o i Paesi dell'ex Jugoslavia". A dirlo John Mpaliza, attivista per i diritti umani e la pace.

L'attivista, origini congolesi e una vita in Italia, ha evidenziato anche possibili criticità rispetto alla creazione e al funzionamento di un organismo del genere. "Riprendo le parole - ha detto - del giurista congolese Rety Hamuli, che ha fatto parte del Tribunale per il Ruanda con sede ad Arusha: 'Sara' possibile nell'ambito di una corte internazionale estradare notabili ruandesi e portarli a giudizio per i crimini commessi in Congo'? Io non credo".

"Molti attivisti e blogger, penso anche ai giovani dei movimenti della società civile come Lucha e Filimbi, hanno dato la vita nella lotta": lo ha sottolineato padre Filippo Ivardi Ganapini, direttore della rivista dei missionari comboniani Nigrizia.

“Tre elementi emergono in modo chiaro a dieci anni dalla pubblicazione del Rapporto Mapping sulle violenza nella Repubblica Democratica del Congo" ha detto padre Ivardi: "Il tradimento del governo congolese; il neocolonialismo di forze esterne che intervengono perché quando c'è caos si ruba di più; il saccheggio sistematico delle risorse del Paese africano".

Nel corso dell'incontro padre Ivardi ha sottolineato che "la Chiesa Cattolica e la società civile congolese hanno dimostrato grande forza".

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Fonte: Dire - www.dire.it