Fontana di Trevi, si cambia: monete a bando, meno aiuti per i poveri di Roma

L'amministrazione capitolina cambia le regole: da aprile 2019 le monete gettate dai turisti nella celebre fontana non saranno più affidate alla Caritas, che le usava interamente per il sostegno ai poveri. Quanto resterà dopo i (nuovi) costi di gestione andrà a bando o sarà usato per la cura del patrimonio culturale

Fontana di Trevi, si cambia: monete a bando, meno aiuti per i poveri di Roma

ROMA – Le monetine lanciate dai turisti nella Fontana di Trevi fino al prossimo 31 marzo andranno tutte alla Caritas, quelle che invece saranno lanciate dal 1° aprile in poi saranno usate in parte per pagare il servizio di raccolta, imbustamento e versamento in banca delle monete stesse e per l'altra parte saranno gestite dal Campidoglio. In due modi: finanziamento di progetti sociali (messi a bando) e manutenzione ordinaria del patrimonio culturale.

Cambia così in modo radicale la storia delle monete che quotidianamente finiscono nell'acqua della fontana più celebre e conosciuta di Roma, come pegno e assicurazione - lanciato al destino - di poter ritornare in futuro nella Capitale d'Italia. Una consuetudine, ma anche una fonte di denaro, considerato che l'ammontare delle monete raccolte nel 2018 è arrivata alla somma di un milione e mezzo di euro. Soldi che fino ad oggi sono andati alla Caritas diocesana. Una decisione assunta nei primi anni duemila e che è stata nel tempo riconfermata da molte amministrazioni (da Veltroni ad Alemanno, a Marino) fino a quella attuale. Già un anno fa si era parlato di uno stop da parte della Giunta Raggi, poi rientrato per tutto il 2018. Ora, con il nuovo anno, i nodi sono venuti al pettine e l'amministrazione capitolina – con determinazione dirigenziale dello scorso 31 dicembre – ha informato la Caritas che le attuali condizioni andranno avanti solo fino al 31 marzo. Dopo di che, si cambia. Un cambiamento studiato nel corso dell'ultimo anno da un apposito tavolo incaricato proprio di decidere quale dovesse essere la sorte migliore per il tesoretto di Fontana di Trevi. Ecco allora che dal prossimo 1° aprile “il ricavato della raccolta dovrà essere destinato, al netto di quanto necessario alla copertura delle spese dell'addendum contrattuale con la società ACEA s.p.a., in misura prevalente al finanziamento di progetti sociali e per la restante parte alla manutenzione ordinaria del patrimonio culturale”.

Attualmente l'Acea, la municipalizzata del Comune che gestisce tutte le fontane della Capitale, periodicamente svuota la Fontana e recupera le monete ponendole dentro dei sacchetti che in modo ufficiale, con tanto di verbale redatto dalla Polizia municipale, vengono consegnate alla Caritas diocesana. Le successive operazioni vengono tutte svolte dalla Caritas e dai suoi volontari: una volta aperti i sacchetti, le monete sono asciugate, pulite, selezionate, separate per valuta e per taglio, contate, immagazzinate, e infine versate in banca (comprese quelle straniere, secondo i tassi di cambio). Queste operazioni sono da sempre sostenute dalla Caritas: attività che hanno un controvalore non trascurabile, che già 15 anni fa, nel 2003, la stessa amministrazione capitolina quotava in 276.500 euro l'anno. Da aprile in poi questo compito non sarà più “gratis”, ma sarà svolto da personale dell'Acea, che sarà ricompensata per questa attività con una parte del ricavato delle monete. Di fatto, dunque, una parte del tesoro della Fontana non sarà più utilizzato per attività meritevoli, ma andrà a “pagare” l'attività stessa del recupero e del loro versamento in banca. La mera “gestione” dell'attività dunque costerà, e non poco.

E la restante parte di denaro, comunque certamente maggioritaria considerando la cifra di un milione e mezzo annui complessivi gettati nella Fontana? Il Comune ha scelto di cambiare. La parte minoritaria (ma potrà essere anche il 49%) andrà alla manutenzione del patrimonio culturale capitolino: attività evidentemente meritoria, ma che certamente ha poco a che fare con il sostegno ai più poveri e agli emarginati, e più in generale non rappresenta un'attività di solidarietà sociale. La parte maggioritaria (ma potrebbe anche essere solo il 51%) della somma gettata nella Fontana (al netto, come detto, del costo materiale della raccolta) sarà invece messo a bando per “progetti sociali”.

La scelta del Comune naturalmente fa discutere. Intanto, mette in difficoltà la Caritas romana, che dall'oggi al domani vedrà sfumare il 15% del proprio bilancio annuale, costituito per il 70% da convenzioni pubbliche con Regione e lo stesso Comune, e per il restante 30% da fondi privati. Ma, al di là della situazione della Caritas diocesana, l'interrogativo è se la scelta dell'amministrazione sia lungimirante e giusta.

Per quale motivo finora le monete della Fontana di Trevi sono state date alla Caritas diocesana? Ciò che le amministrazioni comunali che si sono succedute in questi anni hanno riconosciuto è stato il fatto che, posta alla base la scelta di utilizzare quei fondi per esprimere concretamente la solidarietà della città tutta (e del mondo intero) verso chi in questa città soffre ed è in una situazione di svantaggio sociale, quella della Caritas diocesana rappresentasse la scelta migliore per il suo carattere di specificità unica: la capacità di intercettare cioè, e incontrare, le più diverse forme di povertà esistenti (i cittadini senza dimora, gli anziani soli, le famiglie in difficoltà, i minori con disagio, i malati, gli immigrati alle prese con una difficile integrazione) e tutto questo grazie ad una rete sul territorio estremamente ramificata, capace di toccare tutti i municipi e tutti i quartieri di quella che è e rimane una città sterminata, che si estende sulla bellezza di 1.285 chilometri quadrati.

I 139 centri di ascolto parrocchiali, che nel corso del 2017 (ultimo dato disponibile) hanno incontrato oltre 47 mila persone, dicono da soli della capillarità di un servizio che – se guardiamo al “come” vengono spesi i fondi derivanti dalla Fontana di Trevi - parlano di un'assistenza e di un'accoglienza che non possono essere sovvenzionati in altro modo: si tratta cioè di interventi di carità diffusa che difficilmente potrebbero trovare finanziamenti diversi, soprattutto se derivanti da fondi soggetti a bando e con rendicontazioni specifiche. Si pensi semplicemente ai sostegni per la spesa alimentare, per il pagamento delle utenze domestiche, per l'affitto e per il mutuo, a iscrizioni scolastiche, a spese mediche, a rimpatrio di salme, a progetti di microcredito. Ecco perché – si fa notare in ambienti Caritas - con la nuova impostazione i soldi della Fontana di Trevi non potranno essere semplicemente gestiti da altre realtà ma comunque utilizzati per gli stessi scopi e gli stessi beneficiati: a cambiare saranno, con sicurezza pressoché piena, proprio i destinatari delle attivitàE l'idea della città che aiuta i suoi cittadini più bisognosi, gli ultimi fra gli ultimi, è destinata a non trovare più riscontro nella realtà, indipendentemente dagli usi specifici (anch'essi sicuramente meritevoli) che caratterizzeranno i “progetti sociali” messi a bando dal Campidoglio. A cambiare dunque non è semplicemente il "chi" farà: a cambiare è l'idea stessa che negli ultimi venti anni si è voluto dare al tesoro della Fontana di Trevi. Legittimo? Certamente si. Saggio? Il dibattito è aperto.

AGGIORNAMENTO. La decisione del Comune di Roma non è stata commentata dalla Caritas di Roma fino a domenica 13 gennaio, quando sulla pagina Facebook dell'organizzazione è comparso questo ringraziamento: "Cari amici, la decisione del Comune di Roma di modificare la procedura di affidamento per le monetine di Fontana di Trevi - finora utilizzate in progetti di solidarietà promossi dalla Caritas di Roma - con un iter amministrativo ancora non definito, a partire dal prossimo 1° aprile, ha destato numerose prese di posizione che invitano la sindaca Raggi a modificare tale decisione. Giornalisti, politici, sacerdoti e tanti cittadini sono intervenuti sui social network. Ringraziamo tutti coloro che hanno espresso tale fiducia alla Caritas - agli oltre 5mila volontari e 300 operatori impegnati ogni giorno in 51 opere-segno (mense, ostelli, comunità alloggio, case famiglia, ambulatori medici, servizi domiciliari, centri di ascolto nelle carceri) e 145 centri di ascolto parrocchiali - e per il sostegno che continuerete a manifestare. Da parte nostra vi assicuriamo che l' impegno per la giustizia e la dignità di coloro che soffrono continuerà più deciso che mai, forte anche delle vostre bellissime parole. Grazie, il vostro sostegno ci rincuora".

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)