Gerusalemme, un’altra notte di violenze: “I palestinesi espropriati della casa sono usciti dall’agenda”

Christian Elia, giornalista esperto di Medio Oriente e direttore di QCode Magazine, spiega come si sono originate le proteste che negli ultimi giorni hanno provocato decine di vittime e oltre 300 feriti tra Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania. “È stata una scintilla che ha fatto bruciare un sottobosco ormai paralizzato in una questione dalla quale nessuno riesce, o vuole, venir fuori”

Gerusalemme, un’altra notte di violenze: “I palestinesi espropriati della casa sono usciti dall’agenda”

“È stata un’altra lunga notte di violenze in Palestina. Come sempre, la reazione della macchina militare israeliana è da un lato enorme nel suo impatto, e dall’altro quasi sempre legata ad altre agende politiche. Ovviamente il governo Netanyahu ha raggiunto uno degli obiettivi della crisi di questi giorni, quello di far saltare i colloqui tra l’opposizione centrista del parlamento israeliano e la lista araba”. Christian Elia, giornalista esperto di Medio Oriente e direttore della rivista di geopolitica QCode Magazine, commenta così gli scontri avvenuti in Israele nella giornata di ieri: il bilancio è di 250 razzi lanciati da Gaza e 140 obiettivi colpiti da Israele nella Striscia, con 30 vittime e oltre 300 feriti. “È successo quello che è la matrice degli ultimi anni della questione israelo-palestinese, una scintilla che fa bruciare un sottobosco ormai paralizzato in una questione dalla quale nessuno riesce, o vuole, venir fuori”.

Ma come si sono originate le proteste che negli ultimi giorni hanno incendiato il volto di Gerusalemme, con migliaia di manifestanti palestinesi che sono scontrati con la polizia israeliana? “La tensione è salita con le espropriazioni delle case di 40 palestinesi residenti a Gerusalemme est – spiega Elia –. Ma questa questione non è cominciata adesso: è dal 1967, dalla fine della Guerra dei sei giorni, che Israele può togliere arbitrariamente l’alloggio ai palestinesi, che hanno lo status di ‘residenti’: si tratta di uno status revocabile per motivi militari dalle autorità israeliane, che quindi possono togliere la casa a loro piacimento alle famiglie palestinesi, per darle ai coloni israeliani. È da più di quarant’anni che gli espropri sono ammessi e avvengono sistematicamente”.

I malumori sono cresciuti poi con la decisione del governo israeliano di impedire l’accesso ai luoghi pubblici agli arabi per festeggiare la fine del Ramadan, in particolare alla porta di Damasco. “Si tratta di un luogo tradizionale, da sempre punto di riunione per gli arabi che celebrano la Laylat al-Qadr (la Notte del destino), la notte più sacra per i musulmani durante il mese del Ramadan – afferma Elia –. Questa decisione ha generato i primi problemi, aggravati da una situazione abitativa drammatica: a Gerusalemme est non sono concessi permessi per costruire o per ristrutturare, e la densità abitativa è claustrofobica. Occupare uno spazio pubblico è una questione di necessità, soprattutto in epoca di pandemia, dove stare ammassati dentro le case è molto problematico per i contagi. E naturalmente di vaccini per i palestinesi non ce ne sono”.

Il fine settimana è stato contrassegnato da nuove proteste dei palestinesi riunitisi a Gerusalemme e nella moschea di al-Aqsa per celebrare la Notte del destino – che cadeva sabato 8 maggio –: almeno 90 mila fedeli si sono riuniti, nonostante il timore della repressione delle forze dell’ordine israeliane, che venerdì sono entrate con la forza ad al-Aqsa e nelle strade hanno usato granate stordenti e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, che hanno risposto con lanci di pietre. “Non esiste più alcuna forma di resistenza organizzata dei palestinesi, il tessuto politico si è completamente disgregato – spiega Elia –. Quelli che vediamo lanciare le pietre contro i militari israeliani sono bande di ragazzini che non hanno nulla da perdere. Oggi la rabbia monta, ma non esiste una leadership: l’Autorità nazionale palestinese è screditata e Hamas è forte soprattutto a Gaza. Ecco perché non si può parlare di una nuova intifada. Manca un’unione tra i gruppi politici palestinesi, una cabina di regia che possa decidere di fermare le proteste: chi scende in strada è un cane sciolto, a volte non ha neanche più un afflato politico ma la sua battaglia è difendere la casa. Il conflitto è sceso a un livello anche molto pratico”.

Lunedì 10 maggio era inoltre il “Jerusalem day”, l’anniversario della fine della Guerra dei sei giorni: come ogni anno, migliaia di ebrei fondamentalisti ultraortodossi hanno sfilato per le vie della città festeggiando l’occupazione israeliana di Gerusalemme est e assaltando le case dei palestinesi residenti. “La differenza rispetto agli anni passati è che questa volta l’estrema destra ultraortodossa è in parlamento, visto che Netanyahu per trovare una maggioranza ha dovuto rivolgersi sempre più a destra”, continua Elia. Sempre lunedì 10 maggio era attesa inoltre la sentenza della Corte suprema israeliana sul futuro dei 40 palestinesi residenti nel quartiere di Skeikh Jarrah, a Gerusalemme est: le loro case dovrebbero essere confiscate per poi essere assegnate ai coloni che ne rivendicano la proprietà. I giudici però hanno deciso di rinviare l’udienza a data da destinarsi, per evitare un aumento della tensione.

“Quando l’amministrazione Trump ha riconosciuto Israele come unica autorità sovrana su Gerusalemme, la comunità internazionale non ha mosso un dito – continua Christian Elia –. Le tensioni di questi giorni sono anche il risultato di quella scelta politica. Israele sta andando avanti per la sua strada, sapendo che nessuno lo fermerà”. Ora quindi che succederà? “Ci si aspetta che ci sarà l’ennesima mediazione dell’Egitto, del Qatar e del quartetto della democrazia (Unione Europea, Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite, ndr): probabilmente nell’arco di alcune ore finirà l’operazione militare israeliana e si arriverà a un cessate il fuoco – conclude Elia –. Così si ricomincerà quel quotidiano stillicidio di diritti che avviene a Gerusalemme. Questa escalation è servita ovviamente anche ad Hamas, che sulla questione Gerusalemme deve sempre far vedere di esserci, a qualunque costo, anche a costo di far massacrare i civili di Gaza. Ancora una volta il punto da cui eravamo partiti, cioè l’esproprio delle case dei palestinesi di Gerusalemme est, confermato come illegale anche dalle Nazioni Unite, paradossalmente è diventato l’ultimo argomento all’ordine del giorno”.

L’unica cosa che potrebbe sbloccare la situazione, secondo Elia, potrebbe essere una presa di posizione da parte dell’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden. “Per segnare un cambio di passo rispetto alle pressioni su Israele, si aspetta una parola dell’amministrazione Biden sul futuro della gestione del territorio, futuro che non potrà sempre più che essere quello di un unico stato, in cui i cittadini palestinesi possano godere degli stessi diritti di qualunque cittadino del pianeta, e non essere sottoposti a un’amministrazione militare”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)