Gli hikikomori tra di noi. Che cosa accade ai ragazzi che per un tempo così lungo decidono di sottrarsi al “flusso” del mondo?

In Italia un recente studio del Cnr, condotto con la collaborazione del Gruppo Abele, ne ha censiti circa 50.000.

Gli hikikomori tra di noi. Che cosa accade ai ragazzi che per un tempo così lungo decidono di sottrarsi al “flusso” del mondo?

Sono soprattutto maschi, di età compresa fra i quattordici e i diciassette anni, che hanno sperimentato un senso di inadeguatezza e fallimento rispetto al gruppo dei pari e che non hanno facilità di relazione con gli adulti. Si appassionano al mondo online, in maniera particolare al gaming e scelgono la strada del ritiro sociale: li chiamano Hikikomori, un  termine che viene dal Paese del Sol Levante e vuol dire “stare in disparte”.

Degli Hikikomori, adolescenti e giovani adulti “autoreclusi” all’interno delle proprie abitazioni (o nell’angusto perimetro della propria stanza), in Giappone si è iniziato a parlare negli anni Novanta. Attualmente le stime contano nel Paese la presenza di circa un milione di questi “eremiti post-contemporanei”, in Italia invece un recente studio del Cnr, condotto con la collaborazione del Gruppo Abele, ne ha censiti circa 50.000.

Sebbene il picco pandemico abbia amplificato i numeri del ritiro sociale, le origini del fenomeno non vanno ricercate nella diffusione del Covid-19. Alla base del disagio c’è una marcata difficoltà  “adattiva”, che in genere inizia a dare le prime avvisaglie con manifestazioni di ansia sociale. I ragazzi cominciano a declinare gli inviti dei compagni, rinunciano alle attività sportive, al mattino si preparano per andare a scuola ma poi non trovano la forza di uscire di casa, magari accampando malesseri o disturbi improvvisi.

Spesso gli Hikikomori hanno genitori particolarmente “ambiziosi” o “iperprotettivi”, con essi instaurano rapporti conflittuali ma anche di profonda dipendenza. Si tratta soprattutto di maschi. Qualcuno sostiene che il ritiro sociale sia l’alternativa prettamente “maschile” ai disturbi della condotta alimentare maggiormente diffusi nel sesso femminile: in entrambi i casi alla base c’è il desiderio di “sparire”.

Che cosa accade ai ragazzi che per un tempo così lungo decidono di sottrarsi al “flusso” del mondo? Il rischio più elevato è lo sviluppo di stati depressivi, ci sono poi conseguenze negative per la salute del corpo che risente della mancanza di attività fisica e che per lunghi periodi viene sottratto all’esposizione della luce naturale. Generalmente gli Hikikomori invertono il ritmo circadiano, scambiando la notte con il giorno. Nei casi più gravi si arriva a manifestazioni di autolesionismo o abuso di sostanze. Correlati a questa condizione sono poi i disturbi ossessivo-compulsivi e dissociativi, come la sensazione di essere scollegati da sé stessi e/o dall’ambiente circostante, o anche la frammentazione del senso di identità e della memoria.

Contrariamente a quanto si possa pensare la sovraesposizione nell’uso della tecnologia e del web non sono alla radice del fenomeno. “Internet diviene quasi una difesa – spiega Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano -, una forma di automedicazione, scongiura il rischio di un breakdown psicotico nel momento in cui il dolore è talmente pervasivo da non riuscire a essere espresso e dunque rischia di farti impazzire. (…) Chi toglie forzatamente Internet ai ritirati sociali, si assume una responsabilità enorme”.

Uno degli aspetti più preoccupanti di questo fenomeno è poi l’assenza istituzionale. La scuola, ad esempio, non sa rispondere in maniera adeguata alle esigenze di questi ragazzi che smettono di frequentarla, interrompendo così l’esercizio del proprio diritto allo studio. Il ritiro sociale non è “abbandono scolastico”; soltanto recentemente si è parlato di certificazioni ad hoc rilasciate dalle Asl e di percorsi individualizzati che prevedano la possibilità di studiare a casa con il supporto dei docenti e dell’istituzione scolastica.

Anche la cura per questi ragazzi non è affatto semplice, richiede infatti che operatori e medici intervengano “a domicilio”, perché gli Hikikomori si rifiutano di recarsi presso le strutture sanitarie.

Qualcosa si muove, ma le famiglie che si trovano ad affrontare questo disagio continuano a sentirsi smarrite e a provare un profondo senso di solitudine.

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Fonte: Sir