I volontari di Lesvos calling da Nordest sono tornati tra i profughi a Lesbo

Nei giorni scorsi un gruppo di giovani della campagna Lesvos calling sono ripartiti da Nordest per l'isola egea per incontrare i migranti nel nuovo campo profughi di Kara Tepe, allestito da Unhcr dopo che lo scorso 9 settembre è andato alle fiamme quello di Moria.

I volontari di Lesvos calling da Nordest sono tornati tra i profughi a Lesbo

È la quinta “missione” di quest’anno: la campagna Lesvos calling ha mobilitato giovani, studenti, attivisti e volontari nel Nordest.

Nel gigantesco e disumano campo profughi di Moria (bruciato il 9 settembre) avevano - fra l’altro - distribuito centinaia di “kit” per le donne con assorbenti igienici biodegradabili, detergenti e biancheria intima.

Nella nuova tendopoli di Kara Tepe, a circa tre chilometri da Mytilene (capitale dell’isola di Lesbo), la situazione si rivela perfino peggiore. «Martedì 13 ottobre un fortunale ha sferzato il campo profughi, allagato le tende e ridotto l’area a una sorta di risaia» raccontano i giovani volontari di Lesvos calling. «Una situazione disumana. Già prima della pioggia e del freddo, le condizioni erano in uno stato pietoso: i bagni chimici sono pochi e non vengono mai puliti. I profughi sono rimasti sei mesi segregati a Moria per la pandemia. Ma nel nuovo campo i test ufficiali hanno già rivelato almeno 250 positivi al Covid, un dato destinato a moltiplicarsi velocemente».

E all’orizzonte si profila la chiusura dello spazio Pikpa, che fin dal 2012 ha visto transitare circa 30 mila persone. Il ministro per l’immigrazione Notis Mitarakis ne aveva preannunciato lo sgombero e in questi giorni a Lesbo si sono alternati presidi, assemblee e appelli internazionali. Così (almeno per ora) il provvedimento è congelato.

Pikpa garantisce un luogo sicuro, accogliente, solidale ai soggetti più deboli: madri single, anziani, vittime di tortura, persone con disabilità o discriminate sessualmente e minori non accompagnati.

Fondato da Lesvos solidarity (partner della Chiesa presbiteriana degli Usa) conta 16 casette in legno, tre stanze nell’edificio principale e 6 rifugi d’emergenza. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nel 2016 ha assegnato il premio Nansen per i rifugiati a uno dei co-fondatori di Pikpa, riconoscendo l’impegno nel salvare vite umane e fornire un rifugio sicuro ai più vulnerabili durante la crisi umanitaria del 2015.

Alcune decine di profughi continuano a restare a Moria nelle rare tende e baracche sulla collina di ulivi risparmiate dall’incendio che ha incenerito tutto il resto dell’enorme “jungle”. Sarebbero 3 mila, invece, quelli imbarcati nelle scorse settimane nei traghetti e trasferiti nei campi di Atene e delle altre città del continente greco. Anche 400 minori non accompagnati e con i documenti hanno “guadagnato” una vita protetta.

La Comunità di Sant’Egidio (che in agosto aveva organizzato la presenza di giovani e volontari nel campo profughi più grande d’Europa) continua a mantenere i “corridoi umanitari” grazie al protocollo che è stato rinnovato dal governo Conte.

Ma a Kara Tepe sono sfollate circa 8 mila persone. Più del 40 per cento sono bambini e ragazzi. Marco Sandrone, capo progetto di Medici senza frontiere, spiega: «Il terreno è polveroso, in una zona estremamente ventosa, esposta a ogni intemperia. La gente vive nelle tende dell’Unhcr, ma non esistono docce e quindi bisogna lavarsi in mare. Non c’è illuminazione notturna. I tre pasti i vengono distribuiti una volta al giorno, la maggior parte già freddi e senza la possibilità di riscaldarli, perché è proibito accendere i fuochi. Non c'è un sistema fognario e di scolo dell’acqua. Fa paura pensare all’inverno, mentre è molto complicato seguire i pazienti in un contesto simile».

Dalla “missione” di Lesvos calling arrivano testimonianze in diretta. «Il campo è, di fatto, blindato dalle forze dell’ordine che lo pattugliano e controllano gli accessi. L’area della tendopoli è in parte un ex poligono militare, ma per l’altra parte il governo greco ha previsto la spesa di quasi 3 milioni di euro per onorare il contratto d’affitto nei prossimi cinque anni ».

Insieme alle ong, al team legale di Mitylene e ai volontari internazionali si mantiene aperto, nonostante tutto, un canale di comunicazione dall’interno del campo.

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