Il Sudafrica riparte da Ramaphosa

Jacob Zuma, travolto dagli scandali, si è dimesso. «Un cambio atteso sia dai cittadini che dai mercati internazionali», spiega l’esperto Rocco Ronza. Il nuovo presidente, 65 anni, si è opposto alla segregazione con la non violenza e, dopo un passato da sindacalista, è diventato imprenditore.

Il Sudafrica riparte da Ramaphosa

Lo scorso 14 febbraio Jacob Zuma, 75 anni, si è dimesso da presidente del Sudafrica dopo 9 anni di governo e al suo posto è stato eletto Cyril Ramaphosa, 65 anni. Una scelta travagliata, su cui hanno pesato in modo decisivo le pressioni mediatiche per i casi di corruzione e di gestione opaca di fondi pubblici. Dall’uomo che aveva condiviso il carcere con Mandela e ha vissuto la lotta armata contro l’apartheid, al giovane leader dell’Anc, che si è opposto alla segregazione con la non violenza e che è diventato imprenditore, dopo un passato da sindacalista. Il passaggio alla presidenza del Sudafrica avvenuto con le dimissioni di Jacob Zuma e la nomina di Cyril Ramaphosa, ha una connotazione generazionale non da poco. Ma quello richiesto a gran voce praticamente da tutta la “nazione arcobaleno”, era un cambio di passo sulla politica economica nel Paese che ha in mano le redini del continente subsahariano.

«La stampa internazionale, specialmente quella economica, ha spalleggiato la mobilitazione dei media sudafricani sui casi di corruzione, abuso di fondi pubblici e legami opachi con imprenditori e faccendieri che hanno contraddistinto il mandato di Zuma, eletto nel 2009 – spiega Rocco Ronza, docente del dipartimento di scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, esperto di politica e storia del Sudafrica, collaboratore di Limes, Nigrizia e altre riviste – Ma il punto centrale è la mancata ripresa del Paese, dopo la crisi economica del 2008. Imprenditori e mercati internazionali chiedevano a gran voce una svolta, per rimettere in moto la crescita». Una svolta necessaria anche per ridurre i divari sociali, accentuati dalla crisi. “Le dimissioni del presidente Jacob Zuma dovevano essere presentate da tempo – hanno affermato in una nota diffusa da Fides i vescovi sudafricani – Il fatto che si sia permesso a Zuma di rimanere nella posizione più importante dello Stato, nonostante l’evidenza schiacciante e di lunga durata della sua inidoneità alla carica, ha prodotto un danno immenso alla reputazione internazionale del nostro Paese, alla sua economia, e in modo particolare ai cittadini più poveri e vulnerabili». I numeri, in questo senso, parlano chiaro. Come sintetizzato dal rapporto Ispi South Africa. The need for change, il 10 per cento della popolazione detiene addirittura il 93 per cento della ricchezza nazionale. Nel corso del 2017 la disoccupazione ha toccato il 27,7 per cento, il massimo storico negli ultimi 14 anni, arrivando a sfiorare il 56 per cento tra i giovani.

In sintesi, «il tema al centro delle dimissioni è economico – afferma Ronza – e la corruzione dell’ex presidente è servita a creare un fronte comune tra le forze politiche, a prescindere dalle differenze». Oltre alla maggioranza dell’African national congress (Anc), il partito fondato da Mandela che detiene la maggioranza assoluta del parlamento, infatti, favorevoli alle dimissioni di Zuma erano anche il Democratic alliance (Da), partito liberale votato in prevalenza dai bianchi ma con un leader di colore, e l’Economic freedom fighters (Eff), partito di sinistra radicale fondato da un ex Anc.

«Il Sudafrica ha “de-razzializzato” la disuguaglianza: i poveri non sono più solo neri e, soprattutto, i ricchi non sono più solo bianchi – spiega Ronza – Tuttavia permangono forti squilibri sociali. E la preoccupazione internazionale è che il Paese non sta facendo da motore per la crescita del continente. Questo rappresenta un problema, perché la forte crescita demografica africana non è compensata da un aumento dei posti lavoro, con la conseguenza – che conosciamo benissimo – delle grandi migrazioni verso l’Europa». Il Sudafrica, infatti, conta 50 milioni di abitanti, ed è lo stato economicamente più avanzato del continente, l’unico che possa contare su una vera economia diversificata. Recentemente, il Pil del Sudafrica è stato superato da quello della Nigeria, altro “gigante” del continente e diretto concorrente sul piano economico. «Ma l’economia nigeriana si basa esclusivamente sull’estrazione di risorse naturali, petrolio in primis – spiega Ronza – In Sudafrica, invece, un qualsiasi imprenditore europeo può trovare tutto quello che gli serve per investire: servizi bancari e di information technology, università, una rete stradale sviluppata, prodotti assicurativi, ospedali efficienti. E un ceto medio nero che sta crescendo, interessato anche a prodotti di moda, food e arredo». 

Insomma, la sfida è quella di dare uno sviluppo economico robusto al Paese. «In questo – conclude Ronza – Ramaphosa rappresenta una chance. Per la sua storia, ha la capacità di tenere assieme bianchi e neri, ricchi e poveri, società sudafricana e mercati internazionali. Sembra un controsenso. Ma il Sudafrica è il Paese dei contrasti».

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