Il report sulla violenza nei confronti delle donne in Veneto

Ammontano a 6.432 i contatti registrati nel 2021 dai 64 punti di accesso della rete regionale, costituita da 26 Centri antiviolenza e da 38 sportelli afferenti ai Cav: 138 in meno rispetto al primo anno della pandemia. Mentre risultano 3.440 (con un significativo aumento di 330 unità rispetto al 2020) le donne che sono state prese in carico dalle strutture disseminate sul territorio (una “presa in carico” ogni 751 donne residenti; l’anno precedente il rapporto era di una ogni 789).

Il report sulla violenza nei confronti delle donne in Veneto

I “nuovi casi” sono 2.070, il che significa che un contatto su tre si tramuta in una vera e propria “presa in carico”. Solo 441 le richiedenti che hanno abbandonato o interrotto il servizio avviato.

I dati, particolarmente eloquenti, sono contenuti nel Report, giunto all’ottava edizione e diffuso dall’assessorato alla Sanità, Servizi sociali e programmazione socio-sanitaria in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne), così come previsto dalla legge regionale 23 aprile 2013, n. 5, “Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne”.

La distribuzione delle “prese in carico” attribuisce il primato alla Città metropolitana di Venezia (820 di cui 135 interrotte), davanti alla provincia di Padova (720 casi, ma nessun abbandono del percorso intrapreso), a quella di Vicenza (668, di cui 101 non portate a termine), alla Marca (556, con 71 interruzioni) e al Veronese (485 e 77 prese in carico sospese). Meno preoccupante la situazione a Belluno (123) e a Rovigo (57). “Il nostro impegno paga – puntualizza l’assessore veneto alla Sanità e al Sociale Manuela Lanzarin – perché le statistiche ci dicono che solo il 12% delle donne prese in carico dalle nostre strutture abbandona il percorso senza portarlo a termine. Non basta, altro c’è da fare, e altro dobbiamo fare con l’azione programmatoria complessiva”.

Ma chi sono le donne che vengono supportate dalle strutture regionali? Le fasce più interessate sono quelle comprese fra i 41 e il 50 anni (952 casi) e fra i 31 e i 40 anni (844 casi). Il 63% delle “prese in carico” riguarda donne italiane (nel 2020 eravamo al 67%), il restante 37% coinvolge un’ottantina di nazionalità: dall’Albania al Congo, dal Guatemala al Pakistan, dal Sud Sudan all’Ucraina.

Per quanto riguarda lo stato civile, le più numerose sono le donne coniugate (1519), davanti alle nubili (784), alle separate (386), alle conviventi (376), alle divorziate (245), alle vedove (50). Il 55% delle donne che denunciano episodi di violenza ha un livello di istruzione medio-alto: la maturità (1354) è il diploma scolastico più frequente; 546 sono laureate, 812 hanno frequentato le medie. Il 51% delle donne “prese in carico” dichiara un’occupazione. Secondo l’Istat 2.447 donne prese in carico hanno figli e 1.671 hanno figli e figlie minorenni. Complessivamente i figli e le figlie minori ammontano a 1.991 (ben 110 fra loro sono stati vittime di violenza diretta; 1.684 (ovvero l’88%) sono stati vittime di violenza cui hanno assistito.

La violenza più frequentemente riferita dalle donne prese in carico dai Cav è quella psicologica (2.821 casi). Seguita da quella fisica, con 2.041 casi, che hanno determinato 934 accessi al pronto soccorso. Sono stati segnalati inoltre 1.347 casi di violenza economica, 505 di stalking, 407 di violenza sessuale, 159 di molestie, 36 di cyberviolenza. Alla voce “altro” sono stati rilevati 66 episodi qualificati come tratta, segregazione, separazione, mobbing, pornovendetta, minacce.

Quanto agli autori delle violenze, le statistiche segnalano che per il 98% si tratta di maschi (3.381), mentre le donne sono una cinquantina. L’ambito relazionale-affettivo è quello in cui manifestano prevalentemente (all’80%) le sopraffazioni: in 1.763 casi il responsabile è il coniuge/partner convivente e in 215 il coniuge partner/non convivente. Si tratta pertanto di 1.978 situazioni in cui la relazione è in corso. In 361 casi la violenza arriva dell’ex coniuge/ex partner convivente, in 428 dall’ex coniuge/ex partner non convivente (complessivamente sono 789 relazioni concluse). Ma la violenza può arrivare anche da un parente convivente (246 situazioni) o da un parente non convivente (81). Oppure da una persona non parente ma conosciuta (258). Soltanto in 49 casi l’autore è una persona sconosciuta.

I 26 Centri antiviolenza (inseriti nella Rete del numero di pubblica utilità 1522) sono aperti cinque giorni alla settimana. Risultano 13 i Centri che riescono a garantire un servizio telefonico con reperibilità h24; gli altri garantiscono, negli orari di chiusura, una segreteria attiva h24.

I Cav hanno un rapporto diretto o indiretto con le 16 case rifugio di tipo A (alle quali viene garantita la segretezza dell’ubicazione) e con le 11 case rifugio di tipo B attive sul territorio veneto. Queste strutture garantiscono una risposta rapida alle donne e ai loro figli e figlie minori che hanno bisogno di accoglienza in protezione abitativa. Nel 2021 sono state accolte nelle case rifugio, che hanno registrato 41.129 giornate di presenza, 187 donne con 185 con figlie e figli minori, per un totale di 372 ospiti. Si tratta di un aumento importante rispetto al 2020, quando erano state accolte 289 persone. La permanenza media in una casa rifugio è pari a poco meno di quattro mesi (111 giorni). Per lo più vengono accolte donne straniere (79%) e giovani (il 71% ha meno di 40 anni, il 34% meno di 30 anni).

In 1.088 casi le donne hanno liberamente scelto di rivolgersi ai Cav; in 1.104 sono state indirizzati ai centri antiviolenza dal medico di base, dal servizio sociale, dalle forze dell’ordine, dal pronto soccorso, dal consultorio, dallo psicologo o dallo psichiatra.

Ma chi lavora nei Centri antiviolenza del Veneto? Secondo l’indagine condotta dall’Istat, nei Cav sono attive 410 operatrici (247 come personale retribuito e 163 come volontarie): 129 garantiscono l’accoglienza, 72 sono psicologhe-psicoterapeute; 54 sono avvocate; 13 assistenti sociali; 11 educatrici-pedagogiste; 17 mediatrici culturali; 35 funzionarie amministrative; 45 le addette alla comunicazione; 28 le coordinatrici-responsabili. Appena quattro i maschi che vi sono impiegati.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)