Israele, “stop alle demolizioni in Palestina”: l’appello di Ue e Onu

Le demolizioni di case palestinesi da parte delle forze israeliane proseguono a pieno ritmo, tanto da provocare la reazione di Unione europea e Nazioni Unite che vedono messo in pericolo il fragile processo di pace

Israele, “stop alle demolizioni in Palestina”: l’appello di Ue e Onu

Le demolizioni di case palestinesi da parte delle forze israeliane proseguono a pieno ritmo, tanto da provocare la reazione di Unione europea e Nazioni Unite. Uno degli ultimi episodi risale allo scorso 22 luglio, quando 24 persone del villaggio di Wadi al Hummus, a Sur Bahir, nella parte est di Gerusalemme, sono state mandate via. In tutto, gli appartamenti buttati giù sono una settantina. E nel computo dell’operazione vanno aggiunti altri 350 proprietari di case che non sono ancora state terminate.

Ue e Onu prendono posizione

L’Unione europea ha chiesto a Israele di interrompere questa pratica, perché è considerata un pericolo per il fragile processo di pace tra israeliani e palestinesi. Una posizione condivisa dall’Onu, che vede in questa situazione “un rischio di trasferimento forzato per tanti palestinesi in Cisgiordania”, come dichiarato dai funzionari Jamie McGoldrick, Gwyn Lewis e James Heenan. “Ci uniamo alla comunità internazionale nel chiedere a Israele di fermare i piani di demolizione per queste e altre strutture e di attuare politiche di pianificazione territoriale eque che consentano ai residenti palestinesi della Cisgiordania, compresa la zona di Gerusalemme Est, di soddisfare le proprie esigenze abitative e di sviluppo, in linea con gli obblighi previsti in quanto potenza occupante”, ha dichiarato con un comunicato stampa l’OchaOpt, l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari nel Territorio Palestinese Occupato.

Perché si demolisce

Gli abitanti di Sur Bahir avevano ricevuto i permessi necessari per costruire dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il problema, però, è che la Corte suprema israeliana non li riconosce, sostenendo che le case in questione non si trovano a una distanza adeguata dal muro di separazione. Una situazione che si è venuta a creare a partire dal 2002, quando Israele ha cominciato il muro di separazione: a quel punto, alcune aree sono state di fatto incluse nel comune di Gerusalemme e, per questo, i permessi di costruzione vanno chiesti a Dar Salah, dall’altra parte della barriera. E il tutto si è aggrovigliato ancora di più nel 2011, quando un ordine militare ha stabilito una zona cuscinetto che va dai 100 ai 300 metri dal muro, dove è ora proibito costruire, ma dove esistono circa 200 edifici (un centinaio sono stati fatti dopo l’ordine). Proprio per questo, la popolazione locale aveva presentato una petizione due anni fa affinché fossero annullate le demolizioni, ma l’Alta Corte israeliana ha respinto la richiesta. Una decisione criticata duramente da Jeff Halper, antropologo israeliano di origine statunitense e cofondatore dell’Ichad, il Comitato israeliano contro la demolizione delle case: “Israele potrà demolire centinaia, se non migliaia di case palestinesi costruite entro 250 metri dalla barriera lunga circa 750 chilometri. Dal 1967 Israele ha demolito quasi 60 mila abitazioni di palestinesi”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)