Italia, è di oltre il 28% il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile in presenza di un figlio

I dati di Openpolis.Nel nostro Paese in presenza di un figlio lavora l’83,5% dei maschi e solo il 55,2% delle donne. Un divario superiore ai 28 punti percentuali (28,3%), più ampio non solo della media Ue (17,9 punti) ma anche rispetto a quello di tutti gli altri paesi europei. Paradossalmente, nella maggior parte dei Paesi Ue le donne con 3 figli hanno accesso al mercato del lavoro molto più spesso delle donne italiane con un solo figlio o senza figli

Italia, è di oltre il 28% il divario tra tasso di occupazione maschile e femminile in presenza di un figlio

In tutta Europa resistono ancora forti disparità di genere nel mondo del lavoro tra donne e uomini. Disparità che spesso diventano ancora più evidenti alla nascita di un figlio. A sottolinearlo è un Focus di Openpolis, secondo il quale nel 2020 in media in Ue sono state occupate il 73,2% delle donne tra 20 e 49 anni contro l’83,9% degli uomini della stessa età. In assenza di figli, il divario si riduce: le donne europee che lavorano sono il 76,2%, gli uomini il 79,1%. Viceversa invece i divari tendono purtroppo ad allargarsi: le donne con figli occupate scendono al 71,2% mentre il tasso di occupazione per gli uomini sale all’89,1%. Un gap che quindi passa da meno di 3 a quasi 18 punti di differenza.

Questa dinamica è ancora più evidente in Italia. Sempre restando nella fascia tra 20 e 49 anni, nel nostro Paese in presenza di un figlio lavora l’83,5% dei maschi e solo il 55,2% delle donne. Un divario superiore ai 28 punti percentuali (28,3%), più ampio non solo della media Ue (17,9 punti) ma anche rispetto a quello di tutti gli altri paesi europei. Superiore ad esempio a quello greco (27 punti), ceco (26,5), ungherese (26,3) e slovacco (22,8).

Italia molto distante dagli altri Paesi Ue per quota di donne con figli che lavorano. Indice di un assetto familiare ancora piuttosto basato - seppure meno del passato - sul modello del male breadwinner (Lewis, Naldini, 2001). Un modello centrato su una divisione rigida e predeterminata dei ruoli familiari, per cui il sostentamento è principalmente o esclusivamente in carico al membro maschile della famiglia, con la donna a svolgere compiti di cura in ambito domestico.
Ciò ha numerose implicazioni. In primo luogo, di fatto ostacola la possibilità che le donne lavorino se diventano madri (cosa che non succede - o succede molto meno - per gli uomini). “Una tendenza tanto ingiusta quanto anche controproducente in termini sociali ed economici. Economicamente condanna il nostro paese a un basso livello di occupazione e quindi a un mercato del lavoro più fragile ed esposto a rischi. Socialmente, rendere quella tra famiglia e lavoro una scelta esclusiva significa condannarsi alla natalità declinante che caratterizza il nostro paese ormai da molti anni”, afferma Openpolis.

Si tratta di tendenze che non devono essere date per scontate. È ancora il confronto europeo a mostrarlo chiaramente. In presenza di un figlio, risultano occupate meno del 58% delle donne italiane tra 20 e 49 anni, ma la quota supera l'80% in Slovenia, Austria, Portogallo, Germania, Malta, Svezia e Lituania. Addirittura l’81,2% delle donne danesi con almeno 3 figli sono occupate, più di quelle italiane con un figlio (57,8%).

Paradossalmente, nella maggior parte dei paesi europei le donne con 3 figli hanno accesso al mercato del lavoro molto più spesso delle donne italiane con un solo figlio o senza figli.
Ed è soprattutto la presenza di figli piccoli ad abbattere il tasso di occupazione nel nostro paese. In Europa se il figlio minore ha fino a 6 anni, in media lavorano 2 donne su 3. Ma la quota supera le 3 donne su 4 (75% di occupate) in Portogallo, Slovenia, Paesi Bassi, Svezia, Lituania, Lussemburgo e Danimarca. In Italia al contrario meno del 52% delle donne risultano occupate se il figlio più piccolo ha meno di 6 anni. Una quota superiore solo a quella ceca (40,9%), slovacca (40,2%) e ungherese (38,6%).
“Invertire questa dinamica richiede uno sforzo culturale e sociale, che concretamente può partire proprio dall'estensione della rete di asili nido e servizi prima infanzia sul territorio – conclude Opnepolis -. Tale estensione è un obiettivo prioritario, in primo luogo per l'impatto educativo sul percorso del bambino. Accanto a questo valore aggiunto vi è quello di una migliore possibilità di conciliazione dei tempi per le famiglie”.

Copyright Difesa del popolo (Tutti i diritti riservati)
Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)