L’immigrazione “sospesa”, così la pandemia ha pesato sull’inserimento sociale degli stranieri
Le anticipazioni del Rapporto Idos-Osservatorio sulle migrazioni a Roma e nel Lazio. Nel 2020, complice l’emergenza sanitaria, si è registrato uno stato di “sospensione” dell’immigrazione nell’area romano-laziale. Diminuiscono i nuovi permessi per asilo e i minori stranieri non accompagnati. Per gli immigrati residenti, brusco rallentamento dei servizi sociali e sanitari. Acuite le diseguaglianze a scuola
La pandemia di Covid ha provocato, tra i suoi effetti più critici, uno stato generalizzato di sospensione sociale, con la gran parte dei servizi interrotti per diversi mesi e poi fortemente rallentati e attivati solo online. Anche nella Capitale e nel Lazio lockdown ed emergenza Covid hanno gravemente indebolito l’erogazione delle prestazioni sociali agli immigrati. Registrazioni anagrafiche, iscrizioni al servizio sanitario, accesso alle cure, iscrizioni scolastiche, richieste e rinnovi dei permessi di soggiorno, servizi di mediazione, corsi di italiano: tutto è stato penalizzato dalla chiusura degli uffici al pubblico e dalla digitalizzazione di servizi prima erogati in presenza. Sono le anticipazioni del nuovo Rapporto Idos sulle migrazioni nell’area romano-laziale che, dopo 15 anni, cambia nome: da Osservatorio Romano sulle Migrazioni a Osservatorio sulle Migrazioni a Roma e nel Lazio, per sottolineare come si è esteso il campo di analisi con l’insediamento dei cittadini immigrati in tutti i Comuni della regione.
Il quadro demografico generale
Questa sospensione si è innestata in un quadro demografico nel quale, complici le politiche di contrasto alle migrazioni, gli immigrati stavano diminuendo anche nel Lazio: i nuovi permessi di soggiorno rilasciati nel 2019 sono calati del 19,4% rispetto al 2018, soprattutto quelli di asilo e umanitari (-51,4%), più che dimezzati a causa dei “Decreti sicurezza” 2018 e 2019 (ora in parte modificati). Ma sono diminuiti anche i nuovi rilasci delle altre tipologie di permesso: lavoro (-8%), famiglia (-12,3%), studio (-15,1%), residenza elettiva, religione e salute (-5,9%).
A fine 2019 il numero dei minori stranieri non accompagnati è stato il più basso a partire dal 2010: solo 339 in carico al Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) del Lazio (il 4,8% del totale nazionale), provenienti soprattutto da Egitto, Albania, Tunisia e Bangladesh.
Stabile la popolazione straniera residente: 629.171 persone nel Lazio a inizio 2020, appena 2.423 in più del precedente anno (+0,4%), insufficienti a contrastare il calo della popolazione complessiva, che è stato di 17.376 persone (-19.799 italiani, +2.423 stranieri).
In questa situazione di stallo, è rimasta sospesa persino la regolarizzazione emanata nell’estate del 2020 per l’emersione di lavoratori stranieri irregolari nel settore agricolo e domestico: attualmente solo il 5% delle 220.000 persone che hanno fatto domanda in tutta Italia ha ottenuto un permesso per lavoro. E il primato del ritardo lo raggiunge Roma, dove sono giunte a conclusione solo 2 pratiche su 16.000 e non è stato ancora rilasciato nessun permesso, come denunciato dalla Campagna “Ero straniero - L’umanità che fa bene”.
Nella scuola la pandemia ha acuito le diseguaglianze
Tra gli 80.947 studenti di cittadinanza non italiana iscritti nel Lazio, 51.757 dei quali nati in Italia (63,9%), tanti sono rimasti isolati o esclusi dalla didattica a distanza. “Il digital divide si è rivelato la nuova frontiera della disparità – afferma Idos -. A questo si aggiungono le difficoltà linguistiche, che nella didattica a distanza diventano causa di emarginazione, e il problema dei respingimenti degli alunni stranieri che domandano di iscriversi a inizio o in corso d’anno e non sono accettati per ostacoli puramente burocratici”. Un problema di ampie dimensioni, se si considera che nel Lazio gli stranieri iscritti per la prima volta nel 2018/2019 sono 1.928, in oltre 8 casi su 10 inseriti direttamente nelle scuole superiori.
La gran parte dei corsi di insegnamento dell’italiano L2 hanno subito interruzioni, inclusi quelli dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia). Rispetto agli anni pre-Covid, quando insegnava l’italiano ad almeno 11.000 allievi all’anno, la rete ScuoleMigranti ne ha raggiunto solo il 30% (3.362). Si stima che almeno 8.000 immigrati del Lazio siano stati privati della formazione linguistica del volontariato e che anche l’offerta pubblica abbia subìto una consistente riduzione.
La grande “sospensione” dell’assistenza sanitaria
Le difficoltà di accesso ai servizi di base, alla prevenzione, al tracciamento dei casi di Covid hanno colpito soprattutto i più fragili, tra cui molti immigrati. L’Uosd Salute migranti della Asl Roma 1 nel 2020 ha visto triplicare gli utenti (1.511), per via di un accresciuto bisogno di sostegno. L’incremento maggiore ha riguardato le pratiche di accesso al Ssn e l’orientamento e l’accompagnamento ad altre strutture. “Ancora oggi la mancanza di una governance organica nella gestione del Covid ostacola la fruibilità dei percorsi sanitari e ha rallentato la campagna vaccinale, il cui accesso non è ancora universale e paritario – continua Idos -. Per alleviare queste criticità, molti soggetti del privato sociale e dell’associazionismo hanno rafforzato le strategie comuni proponendo, anche a supporto dei servizi pubblici, interventi inediti e tempestivi quali l’insegnamento dell’italiano L2 al telefono, il sostegno agli studenti stranieri in didattica a distanza, la medicina di prossimità, un coordinamento sanitario operativo a supporto delle Asl romane, fino all’apertura, insieme al Comune di Roma, di due strutture ponte per la quarantena di richiedenti asilo e rifugiati e un centro di emergenza sanitaria per stranieri e italiani senza dimora”.
“Insomma – conclude Idos -: nella distanza imposta dal virus e dalle restrizioni, associazioni, volontari, singole istituzioni, operatori del pubblico e del privato hanno saputo recuperare pratiche di prossimità e politiche territoriali purtroppo trascurate negli anni passati, riducendo per quanto possibile isolamento ed emarginazione. Adesso però, superata l’emergenza e ad oltre un anno dall’inizio della pandemia, urgono politiche territoriali organiche, strutturali e di ampio respiro”.