La Pasqua in Albania. Mons. Frendo (Tirana): “Non smettiamo di cercare qualcosa di positivo”. L’impegno delle ong Shis e Avsi

La Pasqua in Albania dove vive una piccola comunità cattolica. Ferito dal sisma del 26 novembre 2019 e sotto attacco del Coronavirus, il Paese delle Aquile sta reagendo come raccontano al Sir mons. Frendo, arcivescovo metropolita di Tirana-Durazzo e Roberta Profka, direttrice di “Shis”, ong albanese partner locale di Avsi. Da tutti arriva il grazie all'Italia per l'amicizia sempre dimostrata. "I nostri 30 medici sono lì da voi per dirvi grazie"

La Pasqua in Albania. Mons. Frendo (Tirana): “Non smettiamo di cercare qualcosa di positivo”. L’impegno delle ong Shis e Avsi

“Perché piangi?”: usa le parole di Gesù alla Maddalena, giunta al Sepolcro vuoto dopo la Resurrezione, mons. George Anthony Frendo, arcivescovo metropolita di Tirana-Durazzo, e presidente dei vescovi di Albania, per raccontare la Pasqua nel Paese delle Aquile, ferito dal sisma del 26 novembre scorso, il più forte degli ultimi 40 con decine di morti e centinaia di feriti, case e edifici distrutti, e adesso colpito dalla pandemia di Coronavirus.

Ad oggi si contano 22 vittime e circa 350 contagiati. “Credo che nemmeno in queste circostanze dettate dal sisma e dalla pandemia dobbiamo smettere di cercare qualcosa di positivo” dice al Sir l’arcivescovo.

“Siamo certi che il Signore saprà trarre il bene anche dal male”.

“Lo stile di vita della gente è destinato a cambiare – aggiunge mons. Frendo – e forse molti torneranno a Dio. In questo tempo di restrizioni alla mobilità so che c’è tanta gente che prega in famiglia nel chiuso delle proprie case. Noi come cristiani siamo chiamati a vivere nella speranza”. La Pasqua arriva a proposito.

“Ci stiamo preparando alla Pasqua e credo che le parole di Gesù rivolte alla Maddalena, “perché piangi” sono le stesse che oggi rivolge a noi. Non dobbiamo affliggerci perché Gesù risorgendo ha vinto la morte. Questa è la speranza che ci dona coraggio davanti al terremoto e al Coronavirus”.

“Sono occasioni nelle quali è possibile rafforzare il senso di responsabilità verso gli altri perché nessuno può vivere per se stesso. Siamo una minoranza, solo il 15% della popolazione, ma come cattolici dobbiamo essere sale e lievito per il nostro Paese”. “Le chiese – spiega l’arcivescovo – sono aperte per la preghiera privata ma non per le celebrazioni pubbliche. Tuttavia domenica scorsa, delle Palme, la Polizia ci ha permesso di celebrare con non più di 30 fedeli all’interno della nostra chiesa. Fedeli che abbiamo scelto in rappresentanza della comunità ecclesiale. Lo stesso dovrebbe accadere anche per le celebrazioni del Triduo Pasquale. La Chiesa – ricorda mons. Frendo – gode di tanta stima per la sua storica e strenua opposizione, fino al martirio di tanti sacerdoti e fedeli, al Comunismo. Questa sofferenza patita porta in dono tante adesioni alla fede” come testimoniano i 50 catecumeni che avrebbero dovuto ricevere il battesimo la notte di Pasqua in cattedrale se non ci fosse stata la pandemia.

In attesa del picco. “La situazione nel Paese è tesa, il picco dei contagi è previsto nei prossimi giorni” conferma al Sir Roberta Profka, direttrice di “Shis” (Associazione Internazionale per la Solidarietà), ong albanese, partner locale da oltre 20 anni della Fondazione Avsi. Con una competenza maturata nel campo di progetti socio-educativi rivolti a minori e di igiene ambientale e inserimento lavorativo, Shis è in prima linea nell’assistenza alla popolazione sia per il terremoto che adesso per il Coronavirus. “Le Autorità albanesi, sin dai primi giorni del contagio, e sull’onda di quanto stava accadendo in Italia – spiega la direttrice – hanno emanato una serie di severe restrizioni per evitare la pandemia sul territorio. Dall’8 marzo sono state chiuse scuole, asili e università. Poi è stata la volta delle attività produttive non essenziali. Ora sono aperti solo ospedali, farmacie, negozi e supermercati di generi alimentari”. Shis, con i suoi volontari, ha messo in campo una serie di iniziative on line rivolte ad alunni, docenti e famiglie. Coloro che non hanno internet vengono raggiunti telefonicamente e, sottolinea Profka, “non sono lasciati soli”. “Ai bambini stiamo distribuendo dei kit didattici dal momento che le scuole sono chiuse e stanno studiando a casa. Abbiamo lanciato attività di sensibilizzazione sul rispetto delle misure di distanziamento sociale che molti qui fanno fatica a rispettare”. In tutto Shis segue circa 300 famiglie. “Distribuiamo anche pacchi alimentari, kit igienico-sanitari con detergenti e disinfettanti che sono molto importanti adesso per prevenire i contagi”.

Un servizio reso possibile dalla Polizia che ha autorizzato la ong a muoversi liberamente nel territorio. Qualche difficoltà nel reperire le mascherine protettive. “In questo caso – rivela la direttrice – abbiamo attivato una sinergia con un convento di suore salesiane, a Leja.

Le religiose, nella loro piccola sartoria, stanno preparando le mascherine da distribuire a chi ne ha più bisogno”. La pandemia, come il terremoto, fa paura anche dal punto di vista economico.

“Con la chiusura delle fabbriche e della maggior parte dei negozi molte persone si sono ritrovate senza lavoro. Lo stesso vale per coloro che lavoravano in nero. Non sanno più come tirare avanti. Il sussidio sociale di 52 euro mensili erogato a famiglie con almeno 5 componenti è del tutto insufficiente” ammette Profka.

Da qui una collaborazione con i servizi sociali “in modo da poter essere più incisivi nel dare aiuto materiale. I contatti con le famiglie ci servono anche per elaborare anche una mappa dettagliata dei bisogni economici quasi tutti legati alla sussistenza”. La pandemia ha amplificato gli effetti del terremoto:

“basti dire che ci sono ancora 1200 persone che vivono nelle tende in condizioni igienico-sanitarie non ottimali, esposte al freddo e dunque più vulnerabili al Covid-19. Con il pericolo contagio anche i cantieri aperti per la ricostruzione sono stati chiusi. La situazione è molto difficile ma stanno fiorendo tante gemme di solidarietà”.

Grazie all’Italia. L’Italia lo ha sperimentato di recente con l’arrivo di 30 medici albanesi: “è un segno della nostra amicizia e un ringraziamento per quanto l’Italia ha sempre fatto per noi – dicono in coro la responsabile di Shis e mons. Frendo – siamo grati al vostro Paese. Grazie Italia. Uniti ce la faremo”.

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Fonte: Sir