La fatica di vivere a 12 anni. Giovanissimi e uso di droghe: una ricerca allarmante e il grido di don Antonio Mazzi

Perché cresce l’uso delle droghe da parte di chi non è ancora un giovane?

La fatica di vivere a 12 anni. Giovanissimi e uso di droghe: una ricerca allarmante e il grido di don Antonio Mazzi

“Ciò che più preoccupa è che la maggior parte dei giovanissimi che hanno già provato la droga lo hanno fatto per affrontare momenti difficili”. Lo scrivono gli autori di un’indagine sull’uso della droga eseguita nel 2020 su un campione di 60.000 alunni di scuole medie e superiori in Italia. Il dato più allarmante è l’età dei consumatori che in qualche caso scende 12 anni.

A condurre ed elaborare la ricerca è il centro studi “Semi di melo” nato dall’intesa tra la fondazione Exodus di don Antonio Mazzi e la Casa del giovane di Pavia che si occupa di minori con dipendenze certificate dal Servizio sanitario nazionale.

Perché cresce l’uso delle droghe da parte di chi non è ancora un giovane?

“Sempre più spesso – risponde Simone Feder psicologo impegnato nella ricerca – lo scopo è lenitivo: ci sono ragazzi che già percepiscono la fatica di vivere. E questo si associa spesso ad atti autolesionistici, come piccoli tagli sul corpo e alla sempre maggiore difficoltà di comunicare con gli adulti, genitori ed educatori, mentre gli amici restano il punto di riferimento”.

Il lockdown, il distanziamento sanitario, la reclusione tra le mura domestiche, l’uso ininterrotto di computer e cellulari, hanno reso ancor più fragili equilibri psicologici già messi a dura prova dal contagio.

Da questi ragazzi, di cui si legge purtroppo e spesso nelle pagine di cronaca nera, era venuto un grido quando non ancora la droga era entrata nella loro vita. Quel grido riecheggia e continua a essere inascoltato.

“Ma insomma, ci vogliamo svegliare?”: alza la voce don Antonio Mazzi che a 91 anni va nel parco della droga di Rogoredo a Milano per incontrare ragazzi e giovani presi in una rete che ogni tanto viene tagliata dalle forze dell’ordine per saldarsi poco dopo.

Svegliarsi, cioè prendere coscienza di un male che corrode e svuota la vita al suo aprirsi. Preoccuparsi per quel vuoto dove arriva il nulla con le sue maschere.

Sono proprio coloro che sono fianco di questi ragazzi per strapparli dal baratro a chiedere ad altri adulti di svegliarsi per evitare l’irreparabile.

C’è una comunicazione interrotta tra adulti e giovani da ripristinare, ci sono alleanze educative da ricostruire perché la vita a 12 anni abbia senso.

Non è un percorso facile, soprattutto nel tempo della pandemia, e neppure si può abbandonare in una lotta impari persone come don Mazzi.

Da dove cominciare? Dall’ascolto, dalla capacità di sperimentare con i ragazzi e i giovanissimi che la vita è bella, che la vita per essere bella deve essere declinata con l’impegno e con la responsabilità verso sé stessi e verso gli altri.

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Fonte: Sir