La proposta dei consorzi di bonifica per rendere sicura l’Italia
Il nocciolo del problema è chiaro. L’Italia è un bellissimo Paese, unico al mondo, ma con un grande problema: un territorio fragile dal punto di vista idrogeologico. Frane, alluvioni, allagamenti, smottamenti e poi, all’opposto, arsura, siccità, secco e perdite idriche incontenibili caratterizzano pressoché tutto lo Stivale (ovviamente Isole comprese). I risultati sono altrettanto chiari: rischi altissimi in alcune aree, eventi calamitosi eccezionali, perdite di vite umane e di risorse finanziarie
Tutti insieme per le infrastrutture utili al Paese. E anche per evitare di perdere miliardi di euro che l’Europa ci ha messo a disposizione. L’idea è dei consorzi di bonifica, che hanno lanciato un appello a costruttori edili, sindacati e mondo della ricerca oltre che al nuovo Governo. Sicuramente una novità, che deve essere rilevata.
Il nocciolo del problema è chiaro. L’Italia è un bellissimo Paese, unico al mondo, ma con un grande problema: un territorio fragile dal punto di vista idrogeologico. Frane, alluvioni, allagamenti, smottamenti e poi, all’opposto, arsura, siccità, secco e perdite idriche incontenibili caratterizzano pressoché tutto lo Stivale (ovviamente Isole comprese). I risultati sono altrettanto chiari: rischi altissimi in alcune aree, eventi calamitosi eccezionali, perdite di vite umane e di risorse finanziarie.
Questione quasi atavica, quella del governo del territorio pare essere arrivata ad un limite non più sopportabile.
Da qui l’idea dell’Associazione nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi) – che raccoglie appunto i consorzi irrigui -, che punta ad accelerare i tempi di realizzazione delle opere. “Per ridurre i cosiddetti tempi di attraversamento dei cantieri, vale a dire l’iter burocratico, che occupa fino al 60% del periodo temporale, necessario alla realizzazione di un’opera pubblica, proponiamo, insieme a costruttori edili, sindacati e mondo della ricerca, un Patto per le Infrastrutture Utili da sottoporre a Governo ed opinione pubblica nell’interesse dell’economia e dell’occupazione in Italia”, ha quindi spiegato Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, aggiungendo: “Siamo preoccupati dal concreto rischio di restituire miliardi di euro all’Unione europea e destinati alla realizzazione di infrastrutture, i cui cantieri sono fermi per lungaggini burocratiche, mentre si avvicina il termine ultimo per l’ultimazione e la rendicontazione delle opere, fissato al 2023”.
Gli esempi non si contano. Sempre Anbi ricorda il caso del Piano di Sviluppo Rurale Nazionale 2014-2020 che prevede finanziamenti per infrastrutture irrigue pari a 291 milioni di euro.
I progetti sono stati presentati e valgono oltre un miliardo, ma l’iter per l’individuazione delle opere da finanziare ad oggi non risulta ancora completato.
Mentre il Fondo Sviluppo e Coesione – solo per fare un altro esempio -, ha in cassa 245 milioni di euro (che inizialmente era quasi 300), che stanno aspettando le procedure per essere utilizzati. Una situazione di stallo burocratico simile è anche stata registrata per altri settori come quello relativo alle attività del Piano Nazionale Invasi e del Fondo per la Protezione del Delta del Po dal fenomeno della subsidenza.
Complessivamente, spiega ancora Anbi, ci sono “a disposizione 1 miliardo e 300 milioni di euro da investire nella sistemazione del territorio: dalla salvaguardia idrogeologica alla infrastrutturazione irrigua”. Solamente i Consorzi di bonifica hanno pronti progetti per oltre 2 miliardi, Ma tutto pare essere così rallentato (in alcuni casi bloccato), da, come si è detto, mettere a rischio il mantenimento delle risorse finanziarie che potrebbero essere utilizzate per altri scopi. E non basta, perché in alcuni casi il completamento dei primi interventi è condizione imprescindibile per ottenere altri finanziamenti.
A rendere tutto ancora più paradossale, hanno sempre fatto rilevare gli addetti ai lavori, è che le attuali regole di bilancio prevedono la nomina di “commissari ad acta” nei casi in cui la burocrazia e i rallentamenti ingiustificati blocchino le opere.
Cosa chiedono quindi i consorzi e tutti i protagonisti di questa vicenda? Di fatto un dinamismo operativo che fino ad oggi è quasi sempre mancato, oltre che la revisione delle procedure e l’accentazione delle responsabilità a carico di chi rallenta tutto.
Da qui appunto il Patto tra tutti i soggetti, che operano e decidono il futuro di infrastrutture strategiche.
L’apparato dello Stato per ora ha dato due risposte. Giuseppe Blasi, capo Dipartimento Dipeisr al Ministero politiche agricole alimentari e forestali, intervenendo proprio all’Assemblea Anbi che si svolge questa settimana ha spiegato: “Senza due ricorsi, che allungano i tempi di esame fino a settembre, avremmo pubblicato entro luglio le graduatorie dei progetti del Piano irriguo nazionale. E’ nostro impegno attribuire, entro l’anno, le concessioni per l’apertura dei cantieri e puntare, entro il 2023, ad avere utilizzato almeno il 90% della spesa attribuita dall’Unione europea. E stiamo individuando una nuova metodologia per l’attribuzione dei 245 milioni di euro, previsti dal Fondo Sviluppo e Coesione”.
E il Governo? Il ministro per le Politiche agricole, Gian Marco Centinaio, sempre davanti alla Anbi ha osservato: “L’agricoltura è sotto attacco, si deve difendere e contrattaccare, non possiamo fare a meno delle risorse della Pac. Dalla revisione della Politica agricola comunitaria, l’Italia corre il rischio di subire un taglio di tre miliardi di risorse. Bisogna andare in Europa e incalzare”. Toni duri sui soldi, quindi. Occorrerà capire se l’esecutivo intende davvero cambiare anche le modalità con cui vengono usati.
Andrea Zaghi