La storia di Safa Neji, dalla Tunisia all’Italia superando pregiudizi e discriminazioni

Oggi la donna è perfettamente integrata e lavora come mediatrice culturale a Palermo. “Sono italo-tunisina, mi sento figlia del Mediterraneo. Anche se ancora non ho la cittadinanza italiana che spero di avere al più presto”

La storia di Safa Neji, dalla Tunisia all’Italia superando pregiudizi e discriminazioni

Parla cinque lingue e Palermo è stata quasi da sempre la sua città, dove oggi lavora con passione come mediatrice interculturale ed operatrice del progetto Housing Sociale del Centro diaconale valdese la Noce. Lei è Safa Neji, giovane italo-tunisina di 31 anni, che ha avuto un percorso di vita non semplice a causa dei pregiudizi e degli stereotipi che ancora esistono sulle donne musulmane che portano il velo.
Safa ha trascorso la sua prima infanzia in Sicilia; è arrivata a soli quattro mesi in provincia di Palermo insieme a madre e sorella per ricongiungersi con il padre, con cui poi ha vissuto a Carini fino all'età di 6 anni. La prima infanzia l'ha vissuta serenamente con la famiglia proprio nel piccolo centro siciliano. Successivamente, la famiglia decide di fare studiare lei e la sorella in Tunisia. E così che nel Sud della Tunisia, con i genitori rimasti a Palermo, Safa insieme a sorella e fratello più piccolo, cresce con gli zii e i nonni materni completando tutto il corso di studi fino al diploma di liceo classico.

“Ricordo che mio nonno, per agevolare i nostri studi, donò un suo pezzo di terreno per fare costruire una scuola molto vicina al villaggio dove vivevamo nel sud della Tunisia  – racconta Safa Neji -. I miei nonni sono stati delle figure molto importanti e significative per tutta la nostra crescita. In Tunisia abbiamo svolto tutto il percorso scolastico fino alla scuola superiore. Contemporaneamente, però, avendo i genitori in Sicilia, abbiamo sempre mantenuto l'interesse ed il legame forte con la cultura italiana.

Dopo il diploma, nell'agosto del 2008, arriva il momento di trasferirsi in Italia. “All'inizio fu molto traumatico perché, avendo trascorso tutta l'adolescenza e la prima giovinezza in Tunisia, avevamo instaurato molti legami affettivi. La decisione di mio padre, senza confrontarsi con noi, fu però netta perché ricordo che ci avvisò, senza preavviso, soltanto quando aveva prenotato il volo per Palermo. Ho vissuto il distacco dalla vita precedente in Tunisia come una separazione molto forte; ne ho sofferto molto perché non c'è stato neanche il tempo di elaborare quel cambiamento così significativo, non avendo neppure avuto la possibilità di salutare, come avremmo desiderato, tante persone care. Nonostante questo, a Palermo mi impegnai subito all'università nel corso di Lettere in traduzioni ed interculturalità. Il primo anno in Sicilia non fu bello dal punto di vista sociale e relazionale, perché dovetti iniziare tutto daccapo. Solo a poco a poco, pur con tutte le paure del caso, decisi di uscire dal guscio familiare aprendomi a nuove esperienze e conoscenze”.

Mentre studia per la laurea triennale Safa, quasi a conclusione del suo percorso, subisce però una bruttissima esperienza di forte discriminazione di stampo razzista che le fa perdere un anno accademico. “E' stato per me un grande trauma – racconta -. Avevo già la tesi pronta, mancava poco al primo traguardo universitario quando ho conosciuto un docente che aveva un approccio fortemente discriminatorio nei confronti di noi musulmane. Ricordo che disse subito che per lui il mondo arabo non aveva storia e non accettava agli esami persone con il velo e che professavano la loro religione. Cercai di reagire a questa ingiustizia, raccontando ad altri quello che accadeva ma nessuno riuscì ad aiutarmi concretamente. Nonostante questa grave esperienza, non ho tolto il velo e, perdendo un anno in più, sono riuscita alla fine a sostenere l'esame con un altro professore. Questa esperienza negativa, però, mi ha fatto soffrire molto, segnandomi così profondamente da desiderare di volere andare via da Palermo”.
Nel frattempo Safa affronta anche la separazione dei genitori. Proprio nel giorno stesso della sua laurea, infatti, il padre decide di andare via di casa. Safa, sentendo forte quindi il bisogno di cambiare aria, decide di andare a Parigi dove c'era uno zio che poteva ospitarla. Tenta di riprendere il percorso universitario iniziato in Italia ma non ci riesce. Inizia a cercare lavoro ma anche a Parigi continuano le difficoltà e le discriminazioni per la sua cultura musulmana, per il velo e pure per avere vissuto in Sicilia.

“A Parigi, inviando curriculum, ho avuto diversi colloqui tutti però non andati in porto – dice -. Le motivazioni per non prendermi erano quasi sempre di tipo discriminatorio. L'ultima è stata, purtroppo, la più brutta. Stavo per intraprendere una collaborazione con uno scrittore franco-algerino che poi si è comportato molto male. Ricordo che, addirittura, prima di congedarmi, mi strappò in faccia il curriculum che riteneva fosse troppo lungo, una cosa che mi ha ferito non poco facendomi innervosire molto”.

Safa decide allora di ritornare a Palermo dove inizia a darsi molto da fare come mediatrice culturale. Nel 2013 arriva il primo lavoro vero, iniziando una collaborazione con la Guardia di Finanza come mediatrice culturale. “Nel frattempo mi sono attivata pure nell'ambito di diverse iniziative sociali nel campo dell'immigrazione. Nel 2014, finalmente, ho ripreso il mio percorso universitario, vivendo degli anni molto belli e conseguendo la laurea magistrale in lingua e letteratura moderna dell'oriente e dell'occidente”.

Mi piacerebbe molto fare l'insegnante di lingua araba – continua -. Ho partecipato per questo al bando universitario come facilitatore linguistico di cui attendo gli esiti. Nel 2017, collaborando al progetto sui corridoi umanitari del Centro diaconale valdese la Noce che ha accolto alcune famiglie siriane, ho iniziato a lavorare come mediatrice culturale. Oggi mi piace molto tutto quello che faccio con loro; sono mediatrice interculturale per tutti i servizi che svolge il centro, operatrice del progetto Housing sociale e responsabile dei volontari internazionali che vengono a fare servizio ogni anno sul posto”.

“Essendo una italo-tunisina, mi sento figlia del Mediterraneo anche se ancora non ho la cittadinanza italiana che spero di avere al più presto - conclude -. Ogni cosa della mia vita per me è stata una conquista; tutto serve se ne ricerchi il senso più profondo, trasformando pure le esperienze negative in chiave costruttiva. Grazie alla mia storia ho tratto la giusta forza per andare avanti sempre con la mia testa. Certo le piccole discriminazioni quotidiane ci sono sempre ma oggi sono in grado di fronteggiarle. Bisogna lottare soprattutto contro gli stereotipi del quadro chiuso che una parte della società continua a fare sulla 'donna velata musulmana'. Stare in silenzio però non serve a nulla. Se si vuole un  cambiamento reale. per costruirlo, ci si deve impegnare concretamente in prima persona”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)