La testimonianza dal Brasile: “Io, infermiera a lottare contro il Covid”

Bianca ha 48 anni e lavora in un ospedale privato di Rio de Janeiro. Durante la pandemia ha contratto il coronavirus ed è dovuta rimanere in isolamento per 30 giorni. Oggi denuncia le durissime condizioni di lavoro del personale sanitario: “Non sono rispettati gli standard minimi, mancano i dispositivi di sicurezza e il governo non fa investimenti seri per fermare l’emergenza”

La testimonianza dal Brasile: “Io, infermiera a lottare contro il Covid”

Qui in Brasile il sistema di salute pubblica è collassato, mancano investimenti seri e i medici e gli infermieri sono costretti a lavorare in condizioni difficilissime. Io stessa mi sono ammalata di Covid-19 e sono dovuta rimanere in isolamento per 30 giorni, è stato durissimo psicologicamente”. Bianca ha 48 anni e lavora come infermiera in un ospedale privato di Rio de Janeiro. Il nome è di fantasia: preferisce non rivelare la sua vera identità per paura che questo avrebbe ripercussioni sul proprio lavoro. Nella sua struttura, Bianca ha accesso a tutti i dispositivi di sicurezza, come camici e mascherine, ma negli ultimi mesi il carico di lavoro è molto grande visto che molti operatori hanno contratto il coronavirus e il personale è decimato.

“Ho rapporti con colleghi che lavorano nella sanità pubblica e mi raccontano che lì non ci sono le attrezzature adeguate per curare i pazienti, non vengono rispettati gli standard minimi, e alcuni operatori sanitari hanno problemi psicologici perché stanno iniziando a pensare di essere incapaci nel loro lavoro – continua Bianca –. In più, sono costretti a comprare di tasca propria i dispositivi di sicurezza come le mascherine, che non vengono fornite, e in alcune strutture non ricevono lo stipendio da più di tre mesi”.

Oggi si è verificato un nuovo record in Brasile, con altri 67.860 casi in 24 ore e 1.284 decessi. Nel frattempo, il presidente Jair Bolsonaro è risultato positivo al tampone per la terza volta consecutiva. “Il nostro governo non ha fatto nulla e non sta facendo nulla per affrontare l’emergenza – afferma Bianca –. Le persone più colpite sono quelle che non hanno la possibilità di rispettare il distanziamento sociale, come gli abitanti delle favelas. È inutile che il governo costruisca strutture costose: serve investire nei centri di salute che già esistono e dotarli di infrastrutture adeguate, sia per ricevere i pazienti, sia per permettere agli operatori sanitari di lavorare dignitosamente”.

Tra gli episodi che hanno colpito di più Bianca c’è quello dello zio di sua cognata, uomo di 86 anni che, dopo un lungo ricovero, era riuscito a guarire dal Covid-19, ma che poi è dovuto tornare in ospedale per colpa di un’infezione alle vie urinarie. “Dalla vescica l’infezione ha rischiato di espandersi in tutto il corpo, anche perché si tratta di una persona di una certa età – commenta Bianca –. È probabile che abbia preso quell’infezione attraverso un macchinario mentre era ricoverato: questo episodio è un simbolo della negligenza del nostro sistema, che mentre cura rischia anche di fare del male alle persone”. Quando le chiedo del suo futuro, Bianca non trova le parole: “Non riesco a pensare al domani, vivo un giorno alla volta, affrontando le responsabilità che ho per la mia vita e quella della mia famiglia. Mi piacerebbe mandare un messaggio positivo, ma non posso farlo”.

Alice Facchini

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)