La vita sotto assedio dei Copti egiziani

I cristiani in Egitto sono almeno 12 milioni, più del 10 per cento della popolazione, senza contare i due milioni in diaspora. Vivono sotto attacco, ma la lunga scia di sangue non piega una comunità ricca di fede e coraggio. Le testimonianze dei familiari di tre vittime raccolte durante un viaggio di Aiuto alla chiesa che soffre - Italia.

La vita sotto assedio dei Copti egiziani

Una comunità sotto assedio, ma ricca di fede e di coraggio.
Una lunga scia di sangue ne segna la storia che giunge fino a oggi e che ha il volto di tanti martiri. Difficile dire con precisione quanti siano: la chiesa copto-ortodossa parla di almeno 12 milioni di fedeli, vale a dire più del 10 per cento della popolazione egiziana. Senza contare i circa due milioni di fedeli in diaspora. I copto-cattolici sono circa 300 mila.

Non bastano stragi, attacchi kamikaze, sgozzamenti a tenerli lontano dalle chiese.
Ne sanno qualcosa i Fratelli musulmani che, nell’estate 2013, quando il governo islamista del presidente Mohamed Morsi fu deposto dai militari, si scatenarono contro chiese e istituzioni cristiane, devastandone oltre 60. Ma più vengono colpiti, più riempiono i banchi durante le messe.

Non conosce la paura Maryam, madre di tre figli, 15, 12 e 2 e mezzo.
Suo marito, Nabil Habib Abdallah, era il custode della chiesa copto-ortodossa di San Pietro e Paolo, al Cairo, situata nel recinto della cattedrale di san Marco, residenza di Papa Tawadros II. Un’esplosione, causata da 12 chili di tritolo, se lo è portato via insieme ad altre 24 vittime, quasi tutte donne e bambine, l’11 dicembre del 2016.
«Quel giorno – racconta la donna a una delegazione di Acs Italia in Egitto per una visita di solidarietà ai cristiani locali – mio marito era in chiesa insieme a mia figlia maggiore». Le cronache di quegli attimi parlano dell’estremo tentativo di Nabil di impedire al terrorista l’accesso alla chiesa. Un intervento che ha impedito, secondo molti, una strage ancora peggiore. Nella chiesa, oggi rimessa a nuovo dall’esercito egiziano, si vedono ancora i segni dell’esplosione, sulle colonne di marmo, dove una mano caritatevole ha appeso un drappo con i volti e i nomi delle vittime.

Non ha paura Jahne, tre figli, di cui due gemelli di 8 anni, Fady (Salvatore) e Bishoy.
Suo marito, Ibrahim Gerges, ha perso la vita nell’attentato alla chiesa di San Marco ad Alessandria, il 9 aprile 2017, Domenica delle Palme. Nello stesso giorno un altro attacco ha provocato morte e distruzione anche nella chiesa di San Giorgio, a Tanta, a nord del Cairo.

Maikal è il figlio di Atef Moner Zaki, ucciso dall’Isis il 26 maggio 2017, mentre si recava a lavoro presso il santuario di san Samuele il Confessore, nella provincia di Minya.
A morire con lui anche 26 pellegrini diretti in bus al santuario. Uomini armati dell’Isis li hanno fermati e uccisi a sangue freddo perché si erano rifiutati di convertirsi all’Islam. 

«Mio padre è stato ucciso con un colpo di pistola in fronte – racconta Maikal mentre carezza l’immagine paterna posta sulla tomba - sentiamo la sua presenza più viva che mai. La sua morte è una benedizione per noi. Come cristiani cerchiamo di perdonare. Non abbiamo paura. Non c'è morte per coloro che amano Dio».

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Fonte: Sir