Lavoro: stranieri e naturalizzati ancora in "nicchie occupazionali" e senza progressioni di carriera

I dati Istat. I lavoratori stranieri appaiono ancora fortemente schiacciati nel mercato del lavoro secondario. “Il vantaggio occupazionale che nel lungo periodo aveva loro assicurato elevati tassi di occupazione, legato alla maggiore disponibilità ad accettare qualunque tipo di impiego e a spostarsi sul territorio, con la crisi del 2020 si è fortemente ridimensionato”. Le difficoltà a ottenere un lavoro adeguato alle competenze

Lavoro: stranieri e naturalizzati ancora in "nicchie occupazionali" e senza progressioni di carriera

L’Istat presenta i principali risultati sull’integrazione di stranieri e naturalizzati nel mercato del lavoro, inserito nella Rilevazione sulle forze di lavoro per l’anno 2021. Le principali informazioni raccolte dall’istituto, raccolte su individui tra 15 e 74 anni, riguardano: il livello di integrazione nel mercato del lavoro, il ruolo del capitale umano e della conoscenza della lingua italiana nei processi di integrazione, l’adeguatezza del lavoro svolto rispetto alle proprie competenze anche in confronto a eventuali precedenti esperienze lavorative in altri Paesi, gli ostacoli incontrati nell’ottenere un lavoro adatto al proprio livello di istruzione.

In sintesi, secondo l’Istat “i cittadini stranieri appaiono ancora fortemente schiacciati nel mercato del lavoro secondario e anche i naturalizzati, pur presentando una condizione occupazionale mediamente migliore degli stranieri, risultano ancora svantaggiati rispetto agli italiani dalla nascita”.
Non solo: “Il vantaggio occupazionale degli stranieri che nel lungo periodo aveva loro assicurato elevati tassi di occupazione, legato alla maggiore disponibilità ad accettare qualunque tipo di impiego e a spostarsi sul territorio, con la crisi del 2020 si è fortemente ridimensionato. Persiste inoltre, sia per gli stranieri sia per i naturalizzati, l’evidenza di una più marcata collocazione in nicchie occupazionali che non sfruttano il capitale umano e che non offrono progressioni di carriera, cosa di cui sembrano consapevoli soprattutto i cittadini stranieri (i naturalizzati mostrano comportamenti e aspettative più simili a quelle degli italiani dalla nascita), non ritenendo necessario richiedere il riconoscimento del proprio titolo di studio o mettersi alla ricerca di un lavoro più adeguato alle proprie competenze”.

La presenza straniera in Italia e il motivo della migrazione

Nella media 2021 la popolazione residente in Italia di età compresa tra i 15 e i 74 anni è costituita per l’8,9% da cittadini stranieri, per il 2,3% da cittadini italiani per acquisizione (naturalizzati) e per l’88,8% da cittadini italiani dalla nascita.

Dei 3 milioni 961 mila stranieri residenti in Italia, circa un quarto sono di cittadinanza romena e quasi un decimo (9,1%) albanese, a cui seguono la cittadinanza marocchina (8,8%), ucraina (4,9%), cinese (4,0%) indiana (3,7%), filippina (3,7%), moldava (3,3%), bangladese (2,8%) e peruviana (2,3%); tutte insieme, queste cittadinanze rappresentano circa i due terzi della popolazione straniera.

In oltre nove casi su dieci i cittadini stranieri e i naturalizzati sono nati all’estero (rispettivamente il 96,6% e il 90,8%) ma le due popolazioni si differenziano per durata della presenza in Italia. Tra i naturalizzati quasi la totalità (il 91,9%) risiede continuativamente nel nostro Paese da oltre dieci anni (circa la metà da più di venti anni), anche per effetto dei requisiti richiesti e della tempistica necessaria per ottenere la cittadinanza italiana; tra gli stranieri, invece, circa il 30% risiede continuativamente in Italia da meno di dieci anni. Le cittadinanze di più recente immigrazione sono la bangladese e l’indiana (circa il 20% risiede in Italia da massimo cinque anni), mentre quelle che si caratterizzano per le quote più elevate di residenti da oltre 20 anni, sono la filippina (32,3%), l’albanese, la cinese, la marocchina e la peruviana.

La maggior parte dei cittadini stranieri (il 56,3%) è migrata in Italia per motivi di lavoro e un ulteriore 40,3% per motivi familiari; tra i naturalizzati, invece, prevalgono i motivi familiari (55,3%) e la quota dei migranti per motivi di lavoro scende al 38,1%.

“Le differenze tra le due sottopopolazioni sono tuttavia meno marcate di quelle osservate nella precedente occasione di indagine (secondo trimestre 2014), per effetto dell’aumento dei ricongiungimenti familiari tra gli stranieri e dei motivi di lavoro tra i naturalizzati – spiega l’Istat -. Se tra questi ultimi, inoltre, la quota delle migrazioni per motivi di lavoro varia poco in base agli anni di residenza in Italia, tra gli stranieri si attesta al 34,5% per chi risiede in Italia da non più di cinque anni e quasi raddoppia tra chi è arrivato nel nostro Paese da più di venti anni (65,9%)”.

In entrambi i collettivi il lavoro è il motivo della migrazione più ricorrente tra gli uomini (51,3% tra i naturalizzati e 71,1% tra gli stranieri), mentre i motivi familiari prevalgono tra le donne (64,6% e 53,4% rispettivamente).

La partecipazione al mercato del lavoro

“Poiché il lavoro costituisce il motore principale del progetto migratorio per gli stranieri, la loro presenza tra le forze lavoro è molto elevata, con tassi di occupazione e di disoccupazione tradizionalmente superiori a quelli degli italiani nati in Italia – afferma l’Istat -. Tra i naturalizzati invece, che più spesso degli stranieri sono arrivati in Italia per motivazioni familiari, si rilevano un più basso tasso di occupazione e un più elevato tasso di inattività, dovuti soprattutto alle donne; per la componente maschile i livelli e la dinamica dell’occupazione e dell’inattività sono invece più simili a quelli degli autoctoni che a quelli dei cittadini stranieri”.

Le differenze tra i diversi gruppi nazionali – rispetto all’età, al genere e al motivo della migrazione – si riflettono nei diversi livelli di partecipazione al mercato del lavoro: tassi di occupazione superiori al 60% e tassi di disoccupazione inferiori al 10% si osservano tra le cittadinanze filippina, peruviana, moldava e cinese, con modeste differenze tra uomini e donne; di contro forti divari di genere si riscontrano tra indiani e bangladesi, dove a tassi di occupazione molto elevati per la componente maschile si associano tassi altrettanto elevati di inattività per le donne.

Capitale umano e occupazione

Gli italiani dalla nascita, i naturalizzati e gli stranieri si differenziano anche per il livello di istruzione. Gli stranieri sono mediamente meno istruiti: il 54,1% possiede al massimo la licenza media, a fronte del 40,2% dei naturalizzati e del 42,6% degli italiani dalla nascita. Gli italiani dalla nascita mostrano la quota di laureati più elevata (17,3% rispetto al 15,8% dei naturalizzati e al 10,1% degli stranieri). “In generale, i naturalizzati mostrano una distribuzione per titolo di studio più simile agli autoctoni che agli stranieri, soprattutto per la popolazione maschile; per tutti e tre i collettivi le donne sono più istruite degli uomini, ma la differenza è particolarmente evidente tra gli stranieri: i maschi sono laureati nel 6,9% dei casi, contro il 12,8% delle donne straniere, il 12,9% dei maschi naturalizzati e il 15,1% dei maschi autoctoni”.

Difficoltà a ottenere un lavoro adeguato alle competenze

La quota di quanti ritengono di svolgere un lavoro poco qualificato rispetto alle proprie competenze tra gli occupati stranieri è quasi doppia rispetto agli italiani dalla nascita (19,2% contro 9,8%); ancora una volta, i naturalizzati si posizionano nel mezzo, con un valore inferiore a quello degli stranieri ma più alto rispetto agli autoctoni. La differenza tra i gruppi è ancora più accentuata per le donne – tra le straniere la quota di quante ritengono di svolgere un lavoro poco qualificato è di 2,3 volte superiore a quella delle italiane nate in Italia – e per i laureati (la quota è di 3,8 volte superiore). Se per gli italiani, inoltre, l’entità del fenomeno diminuisce al crescere dell’età – la quota di occupati che sentono di svolgere un lavoro poco qualificato si dimezza passando dagli under35 agli over50, grazie anche alle possibilità di mobilità occupazionale e progressioni di carriera – tra i naturalizzati e soprattutto tra gli stranieri avviene esattamente l’opposto: al crescere dell’età aumenta la percezione di svolgere un lavoro poco qualificato. Anche il dato, pressoché analogo tra italiani e stranieri, riferito ai 15-34enni nasconde il fatto che le quote di chi ritiene di svolgere un lavoro poco qualificato tra gli autoctoni e i naturalizzati, rispetto agli stranieri, sono più elevate tra gli under25 e sono invece più basse tra i 25-34enni.

La condizione di svantaggio degli stranieri e dei naturalizzati riflette la segmentazione del mercato del lavoro italiano con una prevalenza di tali gruppi nei settori e nelle professioni dove è più presente il lavoro non qualificato. “Gli stranieri e i naturalizzati, infatti, sono più spesso occupati nei settori a bassa qualificazione – evidenzia l’Istat -, in particolare quello dei servizi alle famiglie (rispettivamente il 18,5% e 6,5% contro l’1% degli italiani dalla nascita), dove circa un terzo degli occupati ritiene di svolgere un lavoro non adeguato alle proprie competenze. Inoltre, quasi un terzo (31,5%) degli stranieri e quasi un quinto (il 17,5%) dei naturalizzati svolge professioni non qualificate (8,2% tra gli autoctoni); viceversa solo il 7,9% degli stranieri svolge una professione qualificata, rispetto al 38,1% degli italiani dalla nascita e al 21,1% dei naturalizzati”.

Anche in questo caso possedere un titolo di studio elevato, indipendentemente dal suo riconoscimento, non migliora l’allocazione degli stranieri nella struttura occupazionale: tra gli occupati stranieri laureati soltanto il 38,4% svolge una professione qualificata (contro il 61,5% dei naturalizzati e l’81% degli italiani dalla nascita) e il 17,7% ha impiego non qualificato (rispetto a 8,2% e 0,6%). “Nonostante tra gli italiani dalla nascita ci sia una maggiore corrispondenza tra livello di competenze e professione svolta, la quota di chi considera il proprio lavoro non adeguato pur svolgendo una professione qualificata è leggermente più elevata, a indicare anche differenti aspettative rispetto al lavoro che si ritiene più appropriato alla luce dei percorsi di formazione”, si afferma.

Tra le principali cittadinanze, la quota di occupati che ritengono di avere un impiego poco qualificato rispetto al proprio titolo di studio e competenze raggiunge i valori più elevati per quella ucraina (39,6%), moldava (26,3%), filippina (22,2%) e romena (22,2%); di contro, la collettività cinese è quella con la maggiore corrispondenza tra lavoro svolto e conoscenze professionali (solo il 5,2% ritiene di avere un impiego poco qualificato), anche in ragione dei più bassi livelli di istruzione e dell’elevata concentrazione nel lavoro autonomo.

Si registra inoltre tra gli occupati stranieri un peggioramento delle condizioni di lavoro rispetto alle esperienze lavorative avute all’estero prima della migrazione in Italia. Il 14,7% degli occupati stranieri afferma di svolgere un lavoro che richiede meno competenze rispetto all’ultimo lavoro svolto all’estero, quota che sale al 47,5% tra coloro che dichiarano di svolgere un lavoro poco qualificato. Il peggioramento delle condizioni di lavoro rispetto all’ultima esperienza svolta all’estero caratterizza soprattutto gli ucraini e i moldavi, mentre quote decisamente inferiori alla media si osservano tra marocchini, albanesi, bangladesi e cinesi (anche per effetto di una più elevata quota di quanti hanno avuto esperienze di lavoro solo in Italia).

Per gli stranieri le difficoltà riscontrate nell’ottenere un lavoro adeguato sono rappresentate dal mancato riconoscimento del titolo di studio (nel 27,2% dei casi), soprattutto tra le donne (38,2%) e tra i laureati (45,1%), e dalla scarsa conoscenza della lingua italiana (24,5%), in particolare tra gli uomini (28,3%), gli over50 e coloro con basso titolo di studio. Circa il 15% individua nella discriminazione per l’origine straniera la principale difficoltà, segnalata soprattutto da filippini, peruviani e indiani. I 15-34enni dichiarano più frequentemente difficoltà legate alla mancanza di requisiti formali (ad es. la cittadinanza italiana), che si aggiungono alla percezione di una generale mancanza di opportunità lavorative adeguate per i giovani.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)