Libano, così il Covid 19 aggrava la situazione dei siriani nei campi profughi

L’analisi del quarto rapporto di Operazione Colomba: cresce la povertà e lo sfruttamento. Riprende la via del mare verso Cipro. Appello agli Stati Europei: “Rafforzare i corridoi umanitari”

Libano, così il Covid 19 aggrava la situazione dei siriani nei campi profughi

“La vita prima non era facile, ma ora ho perso anche tutti i miei lavori, e tutto costa quattro volte tanto”. A parlare è Mustafa, 43 anni, siriano, che vive in un campo di Bar Elias in Libano. La sua voce, insieme alle testimonianze di altri profughi siriani è raccolta nel quarto Rapporto sulla situazione libanese realizzato da Operazione Colomba, il corpo non violento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII. Un’analisi che mette in risalto come la pandemia da Covid-19 abbia inciso pesantemente anche sulla situazione, già grave, dei migranti forzati. 

Hamad Hassan, ministro della Sanità del governo provvisorio libanese, dopo aver dichiarato lo stato di allerta generale ad agosto 2020 ha annunciato che i casi di coronavirus nel paese sono in continua crescita e che la situazione dei contagi va deteriorandosi. In particolare, “i contagi sono aumentati esponenzialmente all’indomani dell’esplosione avvenuta nel porto di Beirut - spiega il rapporto -. La pandemia di Covid-19 ha gravemente deteriorato le già dure condizioni di vita dei profughi siriani, poiché le autorità libanesi hanno approfittato delle misure in risposta alla crisi per marginalizzare ulteriormente questa classe, aumentando la paura, la repressione e imponendo misure discriminatorie di isolamento sociale e restrizioni alla mobilità”.

Secondo quanto testimoniano i volontari di Operazione Colomba le comunità siriane si sono ritrovate ancora più vulnerabili con il dilagare della pandemia, affrontando enormi difficoltà principalmente economiche, dovute alla perdita di lavori informali. “In diversi campi profughi la General Security libanese ha minacciato di deportare in Siria tutti gli abitanti, in caso di contagio da Covid-19. Le pene in caso di violazione degli ordini restrittivi sono state pesanti e hanno incluso la confisca dei documenti e del permesso di residenza legale, inoltre le restrizioni hanno riguardato le organizzazioni umanitarie che avevano accesso ai campi, limitando il sostegno alla popolazione tramite aiuti medici e cibo”, si legge nel rapporto. 

Sfratti e sgomberi forzati di famiglie siriane dalle loro abitazioni

Un’indagine del Syrian Investigative Journalism Unit (SIRAJ) in collaborazione con Daraj Media, ha raccolto diverse testimonianze di famiglie costrette a lasciare appartamenti e di interi campi profughi sgomberati dai proprietari dei terreni, a causa dell’impossibilità di pagare l’affitto in piena pandemia. Molti proprietari continuavano a chiedere la somma dell’affitto in dollari, pur essendo il possesso di contanti in tale valuta diventato praticamente impossibile. 
Il 19 giugno lo sgombero di un intero campo profughi si è verificato nella valle della Bekaa, nel campo profughi di Al-Massri situato nella pianura di Saadnayel. L’indagine ha coinvolto almeno 20 famiglie da 3 campi profughi diversi, tutti nella valle della Bekaa. La situazione di queste famiglie è estremamente precaria e l’inverno sarà durissimo da affrontare abitando in queste condizioni, che pensavano essere temporanee ma che ad oggi appaiono ancora a lungo termine. La stessa sorte è toccata ad alcune famiglie che vivevano in un altro campo nella stessa zona di Saadnayel, e agli abitanti di un altro campo detto “Al-Hindi” nella zona di Bar Elias. In quest’ultimo, il proprietario del terreno ha deciso di aumentare il prezzo dell’affitto soltanto ad alcune famiglie e non ad altre, questo ci dice molto sulla precarietà e sulla mancanza totale di diritti in cui i profughi siriani ancora vivono in Libano. 

Ritorno in Siria, tra vecchi e nuovi ostacoli

“Ho 28 anni e sono malata di sclerosi multipla da circa due. Le iniezioni che mi servono per rallentare il corso della malattia sono diventate inaccessibili per me e la mia famiglia qui, quindi non ricevo alcun tipo di trattamento sanitario da almeno sei mesi. L’unica opzione che ho è quella di andare a curarmi a Damasco, dove ho già preso contatti con un ospedale. Sono bloccata qui perché non ho soldi da cambiare al confine, per me e per mio nipote che mi dovrebbe accompagnare”. Il racconto è di Amal, che vive in un campo profughi di Chtaura nella valle della Bekaa. A partire da luglio 2020, per far fronte alla crisi economica, il governo siriano ha imposto ad ogni cittadino che rientra dall’estero di cambiare al tasso ufficiale 100$ in lire siriane, perdendo così la metà della cifra. I volontari di Operazione Colomba hanno raccolto diverse testimonianze di siriani riguardo l’impossibilità e la paura di tornare nel proprio paese: la maggior parte delle persone che provano a tornare sono donne, anziani e bambini. Ahmad ha 31 anni, una moglie e sei figli. Nel mese di dicembre 2019 ha fatto ritorno in Siria, precisamene nel suo villaggio nella zona di Al-Qusayr, area sotto il controllo di Hezbollah, insieme ad altre cinquanta famiglie. Prima di entrare gli era stato consegnato un documento di security assessment e ne ha ricevuto un secondo una volta passato il confine. Nonostante questo, oltre ad avere trovato la sua casa occupata da altre persone, è stato richiamato a Homs nel reparto della sicurezza politica dopo tre giorni dal suo ritorno. Qui è stato detenuto per tre mesi e mezzo.

L’unica alternativa: tentare la migrazione via mare

Le condizioni fino ad ora esaminate del Paese dei Cedri, insieme a quelle della vicina Siria, non lasciano intravedere speranze per una vita dignitosa. Negli ultimi mesi, nel Mediterraneo si è dunque intensificata una nuova rotta migratoria: dal precario Libano le imbarcazioni di fortuna portano a Cipro, puntando e sognando l’Europa: ad imbarcarsi sono, allo stesso modo, profughi siriani e cittadini libanesi. Dall’inizio del mese di luglio 2020 fino alla prima metà di settembre 2020 sono partite almeno 21 imbarcazioni, un grande numero rispetto alle 17 registrate in tutto il 2019. Il 14 settembre un’imbarcazione è stata soccorsa e poi riportata indietro dalle navi della missione militare UNIFIL, si stima che in questo tentativo di fuga almeno 6 persone abbiano perso la vita, inclusi due bambini.

Per questo Operazione Colomba rinnova il proprio appello al Governo Italiano, al Parlamento Europeo e alle Nazioni Unite, così come agli Stati membri, singole agenzie ONU e organizzazioni internazionali attualmente impegnate in Libano, per fare pressione sul Libano per l’immediato rilascio dei prigionieri politici siriani, soprattutto alla luce della gestione della pandemia all’interno delle carceri, estendendo questa richiesta a tutti i prigionieri politici ancora rinchiusi nelle carceri siriane. Si chede di sollecitare il governo libanese affinché agisca nel rispetto delle norme internazionali e nel rispetto del principio di non-refoulement, come stabilito dall’articolo 3 della Convenzione Contro la Tortura di cui il Libano è firmatario. “ Intendiamo per refoulement anche le pressioni indirette che continuano a spingere i profughi a rientrare, pur mancando le condizioni minime di sicurezza in Siria - spiega Operazione Colomba -. Bisogna supportare la società civile libanese nel processo di partecipazione civile e democratica, riconoscendo il loro ruolo nel garantire strutture di supporto alla popolazione libanese, palestinese e siriana, maggiormente dimostrato dopo la drammatica esplosione. Fare pressione sul governo affinché le violenze sui manifestanti cessino immediatamente”.

Inoltre, tra le richieste quella di uno sforzo concreto per la soluzione politica della questione siriana, data la poca incisività dell’azione umanitaria che è comunque insufficiente a soddisfare i bisogni dei siriani in Libano”. E di Implementare e rafforzare i corridoi umanitari, unica alternativa nel breve termine alla disperazione di più di un milione di persone. Si chiede infine di condannare la normalizzazione delle relazioni internazionali con il governo siriano, finché non sarà trovata una reale soluzione politica.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)