Libia. Fermi (Intersos): “Preoccupati per pericolosa escalation ma continuiamo a lavorare”

"Per ora non abbiamo ridotto le nostre attività né attivato particolari procedure anche se preferiamo non far rientrare il personale espatriato. Riceviamo informazioni che ci consigliano di non tornare a Tripoli per il momento. Una trentina di nostri operatori libici continuano a lavorare, con le necessarie cautele": a parlare al Sir è Cesare Fermi, responsabile dell’unità migrazioni di Intersos, che opera tra Libia, Tunisia e Grecia. Numerose organizzazioni umanitarie hanno ritirato i propri operatori sul campo oppure preferiscono mantenere un basso profilo per motivi di sicurezza

Libia. Fermi (Intersos): “Preoccupati per pericolosa escalation ma continuiamo a lavorare”

Sono preoccupati per l’arrivo massiccio di armi sempre più pesanti e l’inevitabile escalation pericolosa che sta assumendo il conflitto in Libia, vista anche la situazione internazionale. Eppure continuano a svolgere regolarmente l’azione umanitaria d’emergenza a Tripoli, Sebha e nell’area di Bengasi. Sono gli operatori di Intersos, Ong italiana che ha attivi diversi progetti in Libia, soprattutto con i minori – libici e migranti -, ma anche con gli sfollati. “Per ora non abbiamo ridotto le nostre attività né attivato particolari procedure – racconta al Sir Cesare Fermi,  responsabile dell’unità migrazioni di Intersos, che opera tra Libia, Tunisia e Grecia – anche se preferiamo non far rientrare il nostro personale espatriato, uscito dal Paese per le vacanze di Natale. Riceviamo informazioni di sicurezza che ci consigliano di non tornare a Tripoli per il momento. Però una trentina di nostri operatori libici continuano a lavorare, con le necessarie cautele”. Tra le varie iniziative Intersos ha aperto a Tripoli, insieme all’Unicef e in coordinamento con la municipalità, un centro diurno sperimentale per minori vicino all’aeroporto. Finora hanno fornito servizi a 600 bambini e ragazzi libici e un’ottantina di migranti: aiuto psicologico, educazione informale, protezione legale, ricongiungimenti familiari e attività ricreative.

Le Ong, operatori rientrati o molta cautela. In Libia numerose organizzazioni umanitarie hanno ritirato i propri operatori sul campo oppure sono presenti in loco ma preferiscono mantenere un basso profilo per motivi di sicurezza. Non è semplice lavorare all’interno di una situazione così complessa. Le bombe continuano a cadere e i combattimenti sul terreno si fanno sempre più intensi, con poche notizie complete e verificabili. Oggi le forze governative di Tripoli, che fanno capo al governo legittimo di Fayez al-Sarraj, hanno riconquistato Sirte, dopo che il generale Khalifa Haftar aveva assunto ieri il controllo del porto e dell’aeroporto. Secondo l’inviato russo in Libia Lev Dengov “le forze del governo di accordo nazionale hanno arrestato decine di combattenti, sequestrato 20 mezzi di artiglieria e ucciso 50 persone tra quelle che combattevano a fianco dell’esercito di Haftar”. Sirte, a 400 km a est di Tripoli, è considerata una città strategica per la conquista del Paese da parte di Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Le milizie di Bengasi stanno quindi puntando ad ovest di Sirte, verso Misurata, la più potente città libica, schierata con Tripoli.

Ue, “stiamo cercando una mediazione”. Intanto l’Unione europea sta cercando i “trovare una mediazione e un’iniziativa europea”, come annunciato dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli: “Dobbiamo trovare una nostra politica dopo aver perso molto tempo con i litigi tra Stati europei. E’ importante ricondurre tutti alla responsabilità e a investire sulla politica estera, sostenendo le azioni che l’Unione europea sta adottando”.

“Abbiamo tutti la speranza che si riesca a trovare una soluzione politica – prosegue Fermi – ma l’intensità del conflitto, con l’intervento delle truppe turco-siriane di Erdogan, non fa che aumentare. Sul terreno sono arrivate armi molto pesanti. Le previsioni non sono molto ottimistiche”.

Intersos ha tre operatori internazionali impiegati nei progetti in Libia, ora sono in Tunisia e in Italia. Ma una trentina di operatori libici che lavorano nel centro per minori vicino all’aeroporto di Tripoli riescono ancora a portare avanti le attività, con le dovute cautele. Tra cui quella di usare poco i social e il telefonino per far circolare video ed immagini del conflitto, visto che le comunicazioni sono costantemente sotto controllo.

A Tripoli “situazione ancora gestibile”. “A Tripoli è ancora in corso una guerra a bassa intensità che riusciamo a gestire”, precisa Fermi. “Sebha è una zona difficilissima, Bengasi invece è più tranquilla”. Nel 2020 Intersos avvierà perciò altri 4 centri per minori: due a Sebha e  due a Tripoli, oltre ad un progetto nelle scuole informali di Tripoli: “Lavoriamo con libici e con i migranti che vivono e lavorano in Libia, collaboriamo con l’Unhcr per l’assistenza agli sfollati e con il sistema sanitario libico. La nostra priorità è dare protezione ai minori che vivono in strada e interagire con la comunità libica, costruendo mattone su mattone. Non è facile ma piano piano sta funzionando, nonostante la guerra”. L’Unicef però lancia l’allarme sulle conseguenze devastanti sull’istruzione dei bambini: 5 scuole distrutte e 2010 chiuse a Tripoli e dintorni, con oltre 115.000 bambini fuori da scuola nelle aree di Ain-Zara, Abu Salim e Soug al Jum’aa.

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Fonte: Sir