Migranti, Asgi: “Illegittimo il decreto con cui l’Italia definisce i suoi porti non sicuri”

L’associazione chiede la revoca immediata del decreto interministeriale del 7 aprile perché in contrasto con le normative internazionali e in particolare con la Convenzione di Amburgo.  “Elude i diritti fondamentali”

Migranti, Asgi: “Illegittimo il decreto con cui l’Italia definisce i suoi porti non sicuri”

Una normativa non conforme alle Convenzioni internazionali che va subito revocata. L’Associazione studi giuridici per l’immigrazione chiede l'immediato ritiro del decreto interministeriale del 7 aprile 2020 con il quale l’Italia definisce i suoi porti non sicuri.  In  un documento di approfondimento,  Asgi si dice “consapevole della estrema delicatezza dell’attuale situazione in Italia, che per ragioni sanitarie comporta restrizioni a numerosi diritti costituzionalmente garantiti” ma sottolinea le numerose criticità del decreto con cui i ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno, degli Affari Esteri e della Salute dichiarano che “per l'intero periodo di durata dell’emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid-19, i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di place of safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area sar italiana”. 

Secondo l’associazione il provvedimento presenta seri dubbi di conformità alle Convenzioni internazionali poste a tutela dei diritti fondamentali delle persone salvate in mare. “Un provvedimento generalizzato che, di fatto, fornisce indicazioni agli organi dell’amministrazione di non procedere all’assegnazione di un porto per le imbarcazioni straniere che abbiano salvato delle persone da un naufragio, eludendo così l’obbligo di valutazione caso per caso, appare di dubbia legittimità, abnorme e del tutto irragionevole, anche in presenza dell’arrivo di un numero contenuto di persone (241 a marzo, 434 fino al 14 aprile) che certamente si avrebbe la possibilità di tutelare insieme alla - e non a detrimento della - salute collettiva” si legge nella nota di approfondimento. Asgi ribadisce dunque che il decreto non può essere in alcun modo utilizzato dal Governo per dichiarare la chiusura dei porti alle navi che, anche in questo particolare momento storico, continuano a salvare vite in mare. “Esso non esclude né può escludere la possibilità di approdo nei porti italiani, né stabilisce alcuna conseguenza giuridica – in termini di sanzioni pecuniarie ovvero amministrative - nei confronti delle navi battenti bandiera straniera che abbiano eseguito salvataggi in mare al di fuori della area Sar del nostro Paese - si legge - . La decisione di assegnare ad una imbarcazione che abbia salvato dei naufraghi un luogo di sbarco sicuro è funzionale  alla concreta tutela dei diritti delle persone che devono essere poste in sicurezza”. Inoltre secondo i giuristi la Convenzione di Amburgo del 1979 prevede obblighi di cooperazione in buona fede per individuare un porto sicuro con tempestività rispetto alle concrete circostanze di fatto, tra cui le condizioni di distress dell’imbarcazione, le condizioni meteomarine o la condizione personale dei naufraghi. “ In questo contesto interviene anche il Decreto del Capo Dipartimento Protezione civile n. 1287 del 12 aprile 2020 che stabilisce che il capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno assuma il ruolo di soggetto attuatore delle misure di protezione civile, e che, letto unitamente al decreto interministeriale del 7 aprile 2020, chiarisce le modalità operative delle autorità italiane -scrive Asgi -  le misure di sorveglianza sanitaria, anche in apposita nave, o di vigilanza sanitaria fiduciaria o di permanenza domiciliare per finalità sanitaria non comportano comunque deroghe alle norme legislative vigenti che danno agli stranieri soccorsi altre forme di assistenza e la facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di protezione internazionale e ai conseguenti adempimenti successivi, incluso l'accesso alle ordinarie strutture di accoglienza sul territorio italiano in condizioni di sicurezza sanitaria (e non più a bordo di navi), al termine del periodo di quarantena”.

Per Asgi, dunque, questi decreti non possono sminuire la risposta operativa del centro di soccorso italiano per il coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare, né costituire il pretesto per attuare di fatto un respingimento di potenziali richiedenti asilo, vietato anche dalla Convenzione internazionale sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra nel 1951 di fatto disincentivando, dissuadendo o ritardando ulteriori salvataggi delle persone in fuga dalla guerra civile in corso in Libia, i cui porti sono da tutti considerati porti non sicuri e pertanto alcun rientro dei salvati in Libia è mai possibile. “Rimane concreto il rischio di una “deroga di fatto” alle norme internazionali e costituzionali attraverso l'emanazione di un decreto interministeriale e di un successivo decreto emergenziale, provvedimenti che mai (neanche nel contesto emergenziale in atto) potrebbero inficiare i principi fondamentali su cui si basa l’ordinamento e quelli derivanti dal diritto internazionale, che obbligano lo Stato italiano - conclude la nota - . La revoca del decreto interministeriale è dunque necessaria a eliminare dall’ordinamento giuridico italiano l’ennesimo provvedimento che elude i diritti fondamentali della persona e mette a rischio l’adempimento da parte dell’Italia di inderogabili obblighi internazionali e dei principi costituzionali”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)