Migranti, così il Covid ha cambiato l’accoglienza e i flussi lungo la rotta balcanica

Nel 2020 la rotta balcanica ha visto arrivare oltre 40 mila persone che vorrebbero accedere all’Unione Europea. Il delegato della Croce Rossa Italiana per l’Europa Occidentale e nei Balcani, Flavio Ciriaci, racconta l’intervento dell’organizzazione per soccorrere i più vulnerabili. Un richiedente asilo: “Nei volti dei volontari ho trovato degli amici”

Migranti, così il Covid ha cambiato l’accoglienza e i flussi lungo la rotta balcanica

“Arrivare in Montenegro non è stato facile. Cercavo una speranza per immaginare un futuro migliore, mentre camminavo giorni e notti fra boschi e montagne”. Così racconta F., richiedente asilo di 36 anni, uno dei tanti migranti che attraversano la rotta balcanica. “Ho perso tutto, la mia casa, la mia famiglia, i miei amici e sono diventato un richiedente asilo in un paese straniero, ero pieno di dolore e delusione”. Un percorso difficile per i rifugiati che sono sono costretti a vivere in condizioni precarie in centri d’accoglienza sovraffollati: non sono preparati alle rigide temperature, non riescono ad accedere ai servizi di base e i diritti umani, spesso, non sono rispettati. A questo si aggiunge la pandemia di Coronavirus che ha rallentato la loro traversata. “La Croce Rossa – spiega Flavio Ciriaci, delegato della Croce Rossa Italiana per l’Europa Occidentale e nei Balcani – era una delle poche organizzazioni che, durante il lockdown, poteva operare nelle grandi città e nelle aree più remote nella distribuzione degli aiuti. Abbiamo potuto intercettare e soccorrere i migranti dove sono più vulnerabili”.

Coronavirus, calo degli arrivi e blocco delle frontiere 

Nei Balcani i migranti tentano di attraversare le frontiere anche decine di volte. “Tante famiglie rimangono bloccate a lungo – racconta il delegato –.  Mi porto con me un’immagine, risalente al 2018, di una famiglia numerosa afghana in un campo di accoglienza in Bosnia. La mamma, i sei figli e il marito erano bloccati lungo la rotta balcanica da 3 anni con la speranza di poter continuare il loro viaggio”. Quest’area geografica nel 2020 ha visto arrivare più di 40 mila migranti. Dal 1 gennaio ad oggi, la Bosnia ha accolto 12 mila persone, il Montenegro 2 mila, il Nord Macedonia 5 mila e la Serbia 21 mila. Durante la grave crisi pandemica, il flusso si è drasticamente ridotto. “Nel periodo da marzo a giugno, durante il lockdown, sono calati gli arrivi – dice Flavio Ciriaci –. Questo ha aiutato le istituzioni a ricollocare e creare nuovi centri di accoglienza adeguati. Anche le strutture sanitarie sono riuscite ad attrezzarsi e ad accrescere il sistema di risposta all’emergenza”.Dopo la riapertura delle frontiere, avvenuta a giugno, e anche in seguito alle elezioni politiche di Serbia Montenegro e Nord Macedonia e ad alcune manifestazioni di massa nei Balcani, il numero dei contagiati è tornato a crescere. “Questa situazione rende complessa la gestione dei centri di accoglienza che sono sovraffollati e la prevenzione e il distanziamento sociale è difficile”. Ci sono, inoltre, molte persone che non trovano spazio nei campi e non hanno accesso ai servizi di base, vivono in baracche, accampati alle fermate degli autobus e in situazioni di grave disagio. “Sono le persone più bisognose a cui la Croce Rossa, - continua Ciriaci – in collaborazione con le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie presenti in loco, si impegna a distribuire cibo e assistenza di primo soccorso”.

Il degrado nei centri d’accoglienza e la solidarietà della comunità locale

“Ci sono - racconta ancora il delegato della Croce Rossa Italiana – zone difficili come il cantone dell’Una Sana, una regione della Bosnia Erzegovina, dove ci sono migliaia di migranti in attesa di provare a varcare il confine con la Croazia, il cosiddetto The Game. I migranti provano e riprovano ad entrare nel Paese ma rimangono bloccati”. Una terra promessa che si trasforma, man mano che si prosegue il viaggio, in luoghi in cui si consumano gravi violazioni di diritti umani. Al confine con la Croazia, per esempio, si trovava il campo di Vucjak, recentemente chiuso, dove i migranti erano costretti a vivere senza acqua, luce e il cibo scarseggava in una ex discarica con mine anti-uomo nascoste nel sottosuolo. Un inferno in cui la Croce Rossa era una delle poche organizzazioni che portava il suo soccorso.La gestione farraginosa dei centri d’accoglienza riflette l’instabilità politica dell’area balcanica che, dopo le guerre degli anni ’90, continua a vivere una fase di consolidamento democratico. Sono Paesi che sono candidati o in procinto di candidarsi per entrare nell’Unione Europea in cui l’assetto geopolitico è ancora irrisolto, anche a causa di una vasta composizione etnico-religiosa. Inoltre, si assiste ad una costante fuga di cervelli in Europa e all’invecchiamento della popolazione. Si stima che nel 2060 la Bosnia possa perdere più del 70% della popolazione. I migranti potrebbero così rappresentare una risorsa importante per le fragile economie e per il sistema di occupazione. “Quasi nessuno di loro ha intenzione di fermarsi qui. L’interesse principale è spostarsi nel nord Europa, infatti il numero di richieste di protezione internazionale è molto basso – spiega Ciriaci-. La Croce Rossa Italiana ha supportato le proprie consorelle di Croce Rossa di Montenegro, Bosnia e Nord Macedonia in progetti che mirano all’inclusione delle persone sia in caso di permanenza temporanea che nel lungo periodo: corsi di lingua, professionalizzazione, supporto per accedere ai servizi socio-sanitari. Noi cerchiamo di renderli partecipi e consapevoli di quello che c’è intorno”. Non mancano, tuttavia, manifestazioni di solidarietà. La popolazione balcanica, composta a sua volta di rifugiati, ha accolto in molti casi i nuovi migranti con empatia e ospitalità. “Tra il 2018 e il 2019 c’erano persone povere che aiutavano i poveri. – prosegue il delegato della Croce Rossa – Si sono create cucine pubbliche e le persone locali fornivano cibo ai migranti e li accoglievano nelle loro case”. Uno spazio per l’integrazione è, infatti, possibile. “Sto ancora cercando una vita migliore – conclude il richiedente asilo, F. -ma qui in Montenegro ho trovato degli amici nel centro di accoglienza e nella comunità locale. Uno dei miei primi contatti montenegrini è stato con Marko e Kristina, volontari della Croce Rossa, che con i loro volti sorridenti mi calmano il cuore. Ogni volta che ho necessità di parlare con degli amici posso farlo con loro. Mi sento al sicuro ora, come se fossi a casa”. 

Camilla Canale

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)