Migranti. Così i grandi centri influiscono sulla salute mentale dei rifugiati

Studio di Medu pubblicato sull’International Journal of Social Psychiatry: "Vivere in grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo piuttosto che in centri di piccole-medie dimensioni aggrava il quadro clinico. Rivedere i decreti sicurezza"

Migranti. Così i grandi centri influiscono sulla salute mentale dei rifugiati

Le condizioni inadatte di accoglienza influiscono negativamente sulla salute mentale di migranti e rifugiati. Lo dice uno studio di Medici per i diritti umani (Medu) pubblicato sull’International Journal of Social Psychiatry. In particolare fattori di stress post-migratori, come ad esempio le situazioni di vita precarie in grandi e sovraffollati centri di accoglienza, producono effetti sulla psiche dei rifugiati e dei richiedenti asilo al pari delle violenze subite nei paesi di origine o lungo la rotta migratoria. 

Nel caso specifico dello studio, i pazienti provenienti dal Cara di Mineo, prototipo dei mega centri nel nostro paese, presentavano un quadro clinico di disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) significativamente più grave rispetto ai pazienti provenienti da centri di accoglienza di minori dimensioni. “Questo aspetto è particolarmente rilevante in quanto rifugiati e richiedenti asilo sono sempre più ospitati in hotspot e centri di prima accoglienza enormi e sovraffollati, anche nei paesi occidentali ad alto reddito - spiega Medu -. Il campo di Moria in Grecia, recentemente devastato da un drammatico incendio, ne è uno degli esempi più eclatanti in Europa. Del resto, anche il nuovo patto per l’immigrazione e l’asilo appena presentato dalla Commissione europea rischia di alimentare proprio il modello dei grandi centri alle frontiere esterne dell’Unione europea”. 

Partecipanti. I richiedenti asilo (94%) e rifugiati (6%) partecipanti alla ricerca erano giunti in Italia da poco tempo (in media da 11 mesi) ed erano ospitati sia in centri di accoglienza di grandi dimensioni con oltre mille ospiti (16%) sia in centri medio piccoli con meno di mille ospiti (80%) che in altre piccole strutture di accoglienza (4%). La maggior parte dei pazienti proveniva dall’Africa occidentale (91%) mentre un minor numero proveniva dal Nord Africa (6%) e dal Corno d’Africa (3%).La gran parte di loro (91%) aveva raggiunto l’Italia attraversando il Sahara, transitando per la Libia e poi affrontando il Mediterraneo centrale con imbarcazioni di fortuna. Tutta la rotta era ed è controllata da trafficanti di esseri umani e gruppi criminali. Il campione dei partecipanti rifletteva in termini di genere (86% uomini) ed età (25 anni in media) la composizione dei migranti e rifugiati giunti in Italia negli ultimi anni attraverso la rotta del Mediterraneo centrale.

Risultati. Tra i partecipanti alla ricerca, il 79,5% presenta una probabile diagnosi di trauma da stress post traumatico (Ptsd). Studi precedenti hanno rilevato una prevalenza di Ptsd nei gruppi di rifugiati di circa il 30%. “In questo caso, però, il campione non è stato reclutato tra la popolazione generale di richiedenti asilo e rifugiati bensì è rappresentato da pazienti inviati ai nostri servizi per la presenza di varie forme di disagio psichico, per cui veniva ipotizzata una possibile origine post-traumatica. In secondo luogo, i pazienti erano tutti sopravvissuti a molteplici traumi complessi, vale a dire ad eventi traumatici di natura interpersonale, ripetuti e prolungati nel tempo” spiega Medu. Diversi anche i profili clinici individuati: un gruppo (45%), presentava ricordi intrusivi, incubi e flashback delle esperienze traumatiche oppure evitamento e tentativo di evitamento di ricordi, pensieri, emozioni o fattori esterni che richiamano le esperienze traumatiche; un gruppo con moderata severità clinica ed elevata probabilità di sintomi di evitamento (22%) ed infine un gruppo che presentava elevata probabilità di presentare tutti i sintomi (32%), vale a dire sintomi intrusivi e di evitamento, pensieri ed emozioni negativi, alterato arousal (insonnia, comportamento irritabile ed esplosione di rabbia, comportamenti autolesivi, difficoltà di concentrazione, persistente sensazione di essere in pericolo ecc.). “Come è facile intuire, tale ultimo gruppo di pazienti, da noi definito Ptsd pervasivo, è quello che presenta una maggiore severità clinica e che richiede pertanto gli approcci terapeutici più intensivi e prolungati - spiega Medu -. Un dato particolarmente interessante rilevato dal nostro studio è che nessuna delle variabili esaminate ha predetto in modo significativo l’appartenenza ai tre gruppi con l’unica notevole eccezione delle condizioni di accoglienza. In particolare, vivere in grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo (oltre 1.000 persone) piuttosto che in centri di piccole-medie dimensioni (meno di 1.000 persone) è stato associato a una maggiore probabilità di appartenere al gruppo con il quadro clinico più grave ed invalidante di disturbo da stress post-traumatico ovvero il gruppo Ptds pervasivo”.

Per questo, in conclusioni alla ricerca Medici per i diritti umani sottolinea che ci sono questioni “assai attuali anche per il nostro paese”. Il riferimento è alle modifiche annunciate dei decreti sicurezza:  “auspichiamo che le forze politiche sappiano trarre insegnamento dalle esperienze fallimentari del recente passato. E’ necessario promuovere un sistema di accoglienza basato su realtà di piccole dimensioni, dotate di servizi adeguati ed integrate nel territorio, in grado di favorire una reale inclusione per il beneficio delle persone accolte e di tutta la collettività”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)