Migranti. Dopo Libia e Israele, è finito l'incubo: “Ora vogliamo solo essere liberi”

Parla per la prima uno dei 5 eritrei respinti in Libia e arrivati a Roma dopo una sentenza storica che ha decretato la riammissione nel nostro paese. Sono in isolamento fiduciario a Roma, finita la quarantena chiederanno asilo politico nel nostro paese. “E’ la fine di un incubo”

Migranti. Dopo Libia e Israele, è finito l'incubo: “Ora vogliamo solo essere liberi”

“Vogliamo solo essere finalmente liberi, vivere come tutti gli altri esseri umani, dopo tutto quello che abbiamo vissuto in questi anni chiediamo solo questo all’Italia”. Dalla casa di Roma dove sta trascorrendo la quarantena, insieme ai compagni, parla per la prima volta H., uno dei 5 eritrei respinti in Libia, e arrivati domenica scorsa in Italia in ottemperanza alla sentenza che ne ha ordinato la riammissione nel nostro paese. 

Per ora i cinque sono in un appartamento della Capitale, finiti i 15 giorni di isolamento fiduciario potranno chiedere asilo, dopo 11 anni dal respingimento illegale, del luglio 2009. “Arrivare in Italia, dopo tantissimi complicati viaggi, dopo la prigionia in Libia, le torture nel Sinai e gli anni difficili in Israele, significa la fine di un incubo - aggiunge il ragazzo, che chiede di rimanere anonimo -.  Ora vogliamo poter essere riconosciuti rifugiati, vivere in regolarità e avere una vita degna”. 

In tutto i migranti e richiedenti asilo respinti in mare dall’Italia in quell’evento erano 89 (75 uomini, nove donne e tre bambini) : partirono dalle coste libiche all’alba del 29 giugno 2009 a bordo di un gommone. Dopo tre giorni sono stati soccorsi e fatti salire su una nave della Marina militare, che anziché portarli in Sicilia li ha riportati in Libia. Qui sono stati a lungo detenuti e solo dopo mesi di prigionia sono stati rilasciati. Assistiti dagli avvocati Cristina Laura Cecchini e Salvatore Fachile di Asgi e sostenuti dalla documentazione fornita da Amnesty International Italia,16 richiedenti di loro hanno presentato ricorso al Tribunale civile di Roma che, il 28 novembre 2019, con la sentenza 22917, gli ha dato ragione. E così, insieme ad un risarcimento di 15mila euro gli è stato concesso un visto d’ingresso per poter chiedere protezione in Italia. 

Arrivare in aereo, regolarmente, è stata un’emozione fortissima - aggiunge H. -. Quando siamo arrivati in Israele, pensavamo di essere arrivati in paese democratico. Invece ci siamo resi conto che anche lì il diritto d’asilo non è rispettato. Siamo stati per anni senza documenti e così anche lavorare era un problema: ti prendevano per mansioni manuali, sottopagate. Spesso qualche datore di lavoro si è permesso anche di non pagarci, perché tanto sapeva di non poter essere denunciato. Eravamo invisibili. Ora speriamo di poter ricominciare qui, grazie al risarcimento e alla protezione a cui abbiamo diritto e di cui abbiamo bisogno”.

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)