Morire legati. Psichiatria, “nel Lazio contenzione diffusa e servizi fuori controllo”

La riflessione di Daniela Pezzi, presidente della consulta regionale per la Salute mentale: “Nei giorni scorsi un giovane uomo è morto nell'ospedale di Monterotondo e ancora non è dato sapere se fosse o meno legato al letto. Nel Lazio la contenzione meccanica si pratica in tutti gli Spdc, come credo anche nel resto d'Italia. L’aumento della sofferenza mentale e del bisogno di cure e la scarsa risposta istituzionale sono un’emergenza nazionale”

Morire legati. Psichiatria, “nel Lazio contenzione diffusa e servizi fuori controllo”

“Le norme nazionali e regionali che governano l’assistenza psichiatrica vengono violate quotidianament i servizi territoriali e ospedalieri sono senza controllo, il personale è insufficiente ovunque. E così si può morire di malattia mentale, silenziosamente, magari legati ad un letto. Sono molto scoraggiata, tante volte ho lanciato l'allarme, ma l'amministrazione regionale rimane sorda a ogni richiesta che proviene dall’utenza e dall’associazionismo che la rappresenta”. Così Daniela Pezzi, presidente della Consulta per la Salute mentale della regione Lazio, commenta l'ennesima morte che potremmo definire “di malattia mentale”: a Monterotondo, in provincia di Roma, un giovane è morto, a quanto pare “forse legato a un letto”, dopo essere stato ricoverato nel reparto psichiatrico su richiesta della struttura residenziale dove era inserito da tempo per un progetto terapeutico riabilitativo. L'ennesima prova che la contenzione in Italia si usa ancora e diffusamente, soprattutto nelle strutture per anziani e per persone con disturbi mentali. Eppure, stando al documento che il ministero ha preparato e proposto alle regioni quasi un anno fa ma non ancora operativo, la contenzione sarebbe dovuta diventare una pratica molto ridotta, quasi fino a scomparire. La notizia di questa tragica morte, riportata qualche giorno fa da alcuni quotidiani, risale a inizio mese.
“Ma notizie come questa vengono oscurate – denuncia Pezzi – tanto che sono venuta a conoscenza di questa morte diversi giorni dopo, solo perché un operatore ha rotto il silenzio e mi ha contattata in modo riservato. Perché il silenzio? Perché negare ciò che accade? E' come se vivessimo sotto un regime”, denuncia senza mezzi termini Pezzi. Perché di malattia mentale si può morire, a causa di servizi, strutture, risorse e personale inadeguati, che ricorrono a mezzi come la contenzione, per gestire pazienti di cui non sanno prendersi cura. O non possono farlo, per l'insufficienza delle risorse umane e strutturali di cui soffrono i servizi e le strutture per la salute mentale.
“Il Lazio è, in questo senso, sempre più fanalino di coda – denuncia Pezzi – tanto che sempre più spesso si verificano ‘eventi sentinella’ lontano dai riflettori e nel silenzio e con la disattenzione generale. I servizi e i Centri per la Salute mentale – continua –, servizi territoriali esistenti in ogni distretto sanitario si sono letteralmente svuotati e sono allo stremo come i servizi ospedalieri: il personale stressato e stanco fa quello che può ed è possibile e probabile che ricorra a mezzi non adeguati a fornire risposta di cura. Nel Lazio si lega – afferma Pezzi con decisione – e si continua a legare in tutti gli Spdc (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), a volte è necessario farlo ma si dovrebbe sempre agire nel rispetto del paziente, dei suoi diritti e dei protocolli. E le nostre richieste all’Assessorato di fare il punto sull’assistenza psichiatrica nel Lazio restano inascoltate: chiedo audizioni, segnalo violazioni, lancio l'allarme. Ma niente cambia... Siamo di fronte ad un totale disimpegno e un completo disinvestimento, che colpisce con particolare gravità questa fetta del sistema sanitario: e con il bonus, hanno voluto regalare briciole a chi è affamato di pane”.

L'appello della Consulta al presidente della Regione Lazio Zingaretti non è stato raccolto: la pandemia ha “sottolineato ancora una volta, purtroppo, le troppe disuguaglianze territoriali che caratterizzano la funzionalità dei Dsm del Lazio”, con “modalità assistenziali inaccettabili e fuori norma, con cui alcuni Dsm hanno fronteggiato la situazione”. Si faceva presente come “la gestione delle situazioni cliniche e dei relativi trattamenti terapeutico riabilitativi è stata e continua ad essere particolarmente complessa, perché le problematiche riguardanti le misure di prevenzione e contenimento dell’infezione da covid19 generano sui pazienti psichiatrici una pressione emotiva maggiore che in altri e per la gran parte di essi è diventata insostenibile, determinando il riacutizzarsi di sintomatologie in parte risolte”.

Un'emergenza invisibile

Il tutto, però, lontano dai riflettori: “Grande risalto è stato dato alle condizioni delle Rsa per anziani – ricorda Pezzi - ma chi ha acceso i riflettori sulle strutture psichiatriche residenziali? Sono state monitorate accuratamente? A chi interessa la sorte di chi vi è ospitato?”.

E, ricorda, la Consulta i momenti più duri della pandemia quando anche “Fabrizio Starace, psichiatra e membro della task force governativa, ha affermato che la pandemia ha colpito maggiormente i più fragili, specialmente coloro che stanno nelle strutture residenziali. Sappiamo com’è la situazione nelle grandi strutture riconvertite delle ex cliniche psichiatriche del Lazio? Cito ad esempio Colle Cesarano (160 posti letto), Villa Giuseppina (146 posti letto), Sorriso sul mare Formia (135 posti letto) e San Raffaele Montecompatri (60 posti letto). Ho cercato di sapere, capire, svolgere una delle funzioni che la legge istitutiva della Consulta regionale assegna all’Organismo di partecipazione: il monitoraggio, in collaborazione con l’Assessorato competente, della funzionalità dei Servizi psichiatrici pubblici e privati accreditati. L’ho fatto telefonicamente, bloccata in casa dalle misure del lockdown. Impossibili i contatti con gli Uffici regionali, nessuno 'poteva parlare con me perché impegnato', mentre ho avuto un fiorire di notizie 'clandestine' da operatori e familiari”.

E a proposito del “Piano regionale di azioni per la salute mentale 2022-2024”, Daniela Pezzi commenta: “Se l’obiettivo del Piano è dare risposte concrete e certe ai bisogni di salute delle persone, allora l’enunciato non è coerente perché il Piano appare propositivo, 'si auspica' e 'si raccomanda', ma non si dispone: manca la descrizione di come procedere e dei livelli di responsabilità, il monitoraggio accurato, la sanzione; resta nella vaghezza la definizione del sistema di valutazione, nel monitoraggio non si fa riferimento alla qualità dei Servizi e agli esiti dei trattamenti né si attribuisce un ruolo significativo al parere espresso dall’utenza attraverso i propri organismi di rappresentanza; e manca completamente la valorizzazione delle funzioni della Consulta regionale”, afferma la presidente Pezzi.

C'è poi una lacuna fondamentale, nel Piano regionale: “Il tema della salute mentale e giustizia presenta delle criticità che la bozza di Piano non sembra evidenziare: non viene affrontata compiutamente la condizione dei detenuti con patologia psichiatrica e relative articolazioni carcerarie e le Rems risentono ancora di una condizione ibrida nelle misure di custodia di competenza della Magistratura e dei percorsi di cura affidati ai Dsm. Lo spirito della riforma apportata dalla legge 30 maggio 2014, n.81 (sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, ndr) sembra passare in secondo piano rispetto all’ansia custodialistica di troppa parte della magistratura – afferma Pezzi - Le misure di internamento nelle Rems devono rimanere l’extrema ratio e mantenute per il tempo strettamente necessario. Il superamento degli Opg non può riportare dentro il sistema sanitario nazionale e regionale 'la prassi manicomiale', ma deve ritornare nella carreggiata delle leggi n.180/1978 e n.833/1978 che, chiudendo i manicomi, hanno tracciato la strada per restituire diritti e cittadinanza”.

Il “ridicolo” bonus

In questo sistema lacunoso e carente, in cui la salute mentale non trova servizi, risorse e strutture adeguati, il “bonus psicologico” risulta una misura che Daniela Pezzi non esita a definire “ridicola. Quel fondo da 2,5 milioni di euro dovrebbe piuttosto essere destinato a interventi strutturali che rafforzino la rete territoriale ed ospedaliera dei Servizi pubblici psichiatrici, con particolare attenzione alla salute mentale degli adolescenti e giovani adulti. La pandemia Covid ha sottolineato e acuito le troppe disuguaglianze territoriali che caratterizzano la funzionalità dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) del Lazio: per la grave carenza di personale e per il progressivo svuotamento dei Servizi, sono a rischio i livelli essenziali di cura con pericolose ricadute sulla salute dei pazienti e pesanti ripercussioni sulle famiglie. Il voucher/bonus è la risposta sbagliata ad un bisogno giusto, ad una esigenza reale di incremento delle risorse da destinare però alle assunzioni di operatori. Acquistare una prestazione sanitaria, che non viene erogata nei DSM, nella logica del libero mercato, è di fatto la sconfitta e la svendita del Sistema Sanitario Pubblico. Non si può, in nome della lotta alla pandemia, accettare un’iniziativa demagogica che, ricorrendo ai bonus, assimila la salute mentale ai vari beni materiali di consumo e non lo ritiene un bene collettivo da tutelare. La situazione economica attuale richiede scelte appropriate, adeguate ai bisogni, trasparenti ed eque. Scelte che dovrebbero rientrare in una sana programmazione di politica sanitaria e il più possibile partecipate, ad iniziare dal riconoscere funzioni e ruolo della Consulta regionale per la salute mentale”.

Chiara Ludovisi

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Fonte: Redattore sociale (www.redattoresociale.it)