Mozambico. A Cabo Delgado raggiunto il numero record di sfollati, 950.000

A parlare al Sir da Pemba, la città della provincia settentrionale di Cabo Delgado che accoglie il maggior numero di persone in fuga dal conflitto iniziato nel 2017 è Miriam Ruscio, dell'Ong Avsi, che opera in Mozambico dal 2010. Negli ultimi mesi c'è stata una recrudescenza degli attacchi - in uno di questi ha perso la vita la religiosa comboniana suor Maria De Coppi - con un aumento di oltre 200.000 sfollati. Se prima si pensava ai rientri nelle proprie terre ora è diventato impossibile

Mozambico. A Cabo Delgado raggiunto il numero record di sfollati, 950.000

Una settimana fa, il 6 settembre, è stata uccisa durante un attacco terroristico nella comunità di Chipene, nel nord del Mozambico, una missionaria comboniana della diocesi di Vittorio Veneto, suor Maria De Coppi. Per poche ore, vista la nazionalità, i media italiani hanno rilanciato la notizia, subito caduta nel dimenticatoio. Pochi sanno che il conflitto nella provincia settentrionale di Cabo Delgado – e ultimamente anche verso sud nella provincia di Nampula – è in corso dal 2017, un mix complesso di jihadismo e interessi economici sullo sfruttamento dei preziosi giacimenti di gas e petrolio nei distretti di Palma e Mocimboa da Praia. Gli insorti sono probabilmente legati all’autoproclamata Provincia dello Stato Islamico in Mozambico. Fatto sta che in questi giorni è stato raggiunto il record di sfollati: 950.000, oltre 200.000 in più negli ultimi mesi, a causa delle recrudescenze negli attacchi. Le vittime dall’inizio del conflitto sono circa 2.000/2.500, sicuramente sottostimate.

La dinamica è più o meno la stessa: uomini armati, in possesso di ordigni esplosivi, entrano nei villaggi e fanno terra bruciata di tutto ciò che incontrano. Incendiano, sparano, distruggono le coltivazioni e gli allevamenti, violentano e uccidono le persone, attaccando soprattutto i centri di salute, le scuole, gli istituti religiosi. Un modo per terrorizzare la popolazione e costringerli a fuggire verso sud. La scorsa settimana a causa di diversi attacchi, compreso quello alla missione di suor De Coppi, sono fuggite 11.606 persone. Le zone sicure sono sempre meno.

A Pemba il maggior numero di sfollati, il 60% bambini. Nella città di Pemba e in altre zone si allargano perciò a dismisura i campi per sfollati. Il 60% sono bambini. Diventano una sorta di villaggi di fortuna, con una organizzazione comunitaria interna e la presenza delle grandi organizzazioni internazionali (Unhcr e Oim) e delle Organizzazioni non governative che distribuiscono cibo e aiuti non alimentari. A fronte di bisogni altissimi.

Tra le Ong c’è Avsi, presente in diverse zone del Mozambico dal 2010 e dal 2013 nella provincia di Cabo Delgado. Impegnata nel Paese con imponenti programmi di sviluppo nei settori dell’educazione, dello sviluppo urbano, dell’emergenza, dell’energia e dell’ambiente, si è trovata negli ultimi anni a dover implementare nuovi programmi di emergenza per far fronte all’ondata di sfollati. A Pemba sono presenti con 120 operatori (di cui solo 6 espatriati) nella gestione dei campi, distribuzione degli aiuti umanitari e di rifugi temporanei per chi arriva. Una attività che è andata ad affiancare i consueti progetti per lo sviluppo.

Sospesi i rientri degli sfollati. “Negli ultimi tempi stavamo lavorando ai ritorni volontari delle persone – racconta al Sir da Pemba Miriam Ruscio, coordinatrice programmi a livello regionale per l’Africa del Sud-est dell’Avsi -. Purtroppo con l’aumento degli attacchi nei mesi di giugno-luglio tutto è stato rimesso in discussione. In città c’è una sorta di calma apparente ma la situazione è instabile. Ora è diventato impossibile pensare ai rientri”.

L’attacco alla comunità comboniana. Gli operatori umanitari, specialmente quelli di ispirazione cattolica, sono rimasti molto scossi dall’ultimo attacco nel quale ha perso la vita la religiosa comboniana. “Abbiamo molta stima del lavoro degli istituti missionari in queste zone – dice Ruscio -. Hanno sempre uno spirito straordinario e una forza che ci sorprende, non abbassano mai le braccia e continuano a lavorare sperando che questi eventi drammatici servano a far capire cosa sta succedendo qui. Tutti sperano che la comunità internazionale si svegli”.

Dopo gli ultimi attacchi l’allerta è aumentata e le misure di sicurezza pure, come previsto dai protocolli di chi lavora in zone di conflitto. Gli spostamenti del personale sono limitati e sotto controllo, c’è un monitoraggio continuo della situazione. “Non ci facciamo prendere dalla paura e siamo pronti ad adattare il nostro intervento, senza mai perdere la speranza. Ma non ci sentiamo un target e non penso che la matrice del conflitto sia religiosa – precisa -. Questi gruppi assaltano chiunque incontrino sul loro cammino per seminare il panico. A livello di base musulmani e cristiani convivono serenamente e si rispettano”.

Insicurezza ancora alta. Sul campo sono presenti forze governative e militari rwandesi, ma il territorio non è ancora sotto controllo. Il governo mozambicano ha lanciato un piano per la ricostruzione della provincia di Cabo Delgado, che si dovrebbe concludere nel 2015, anche se “è difficile parlare di ricostruzione finché non c’è un’azione seria di contenimento del conflitto”, ammette la cooperante dell’Avsi.

La speranza, seppur piccola, è riposta “nella bellezza di questi posti e della gente – conclude -. Sono luoghi paradisiaci e ricchi di risorse, che dovrebbero essere sfruttate a vantaggio della popolazione. Qui si potrebbe vivere serenamente di attività agricole, turismo e dei proventi dei giacimenti”.

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Fonte: Sir